Il Festival del Cinema di Roma, attualmente in corso nella capitale, propone quest’anno una interessante retrospettiva dedicata al cinema gotico italiano. Si tratta, come è noto, di un filone eminentemente di genere che ha tenuto banco per pochissimi anni, avendo delle premesse retoriche e stilistiche ben determinate ed essendo stato sfruttato tanto a fondo da esaurire ben presto le sue possibilità. A partire da un’ispirazione internazionale, fra la metà degli anni Cinquanta e la metà del decennio successivo, i cinema italiani sono stati invasi da titoli assai diversi ma tutti accomunati da una identica o quantomeno simile sensibilità di fondo. Sfruttando un bagaglio tradizionale di leggende folkloristiche e suggestioni esoteriche, i registi del gotico sono riusciti a riportare sullo schermo, estremizzandone gli effetti, alcuni dei mostri e delle figure più radicate nell’immaginario collettivo: è il grande ritorno di streghe, vampiri e fantasmi, che si alternano continuamente fra grandi capolavori (quelli di Bava, ad esempio) e un vasto panorama di titoli minori.
La parte centrale della retrospettiva, dedicata alla nascita e allo sviluppo del genere in Italia, propone un’accurata selezione di film atti a tracciare l’evoluzione stilistica del filone, mostrandone le implicazioni con altri generi e con sollecitazioni straniere, avendo cura di evidenziarne però la sempre presente matrice nostrana. In questo senso è chiara la scelta di un film come La cripta e l’incubo di Camillo Mastrocinque, che conta sul gigantismo divistico di Cristopher Lee. Ispirato a Carmilla, prima vampira letteraria della storia, il film mostra con fedeltà le atmosfere oscure e fredde dei manieri che hanno reso il genere quello che è: misteriose morti lontane, sogni inquietanti e l’ombra dell’ignoto sempre sospesa sul capo dei protagonisti. Ugualmente necessaria la scelta di Danza macabra di Margheriti, vero e proprio capolavoro del genere che, grazie a una fotografia molto affascinante che sfrutta saggiamente il bianco e nero, riesce a regalare atmosfere suggestive e sommamente inquietanti, elevando una vicenda altrimenti troppo ordinaria e stereotipica a una dignità imprevista ma pienamente riconosciuta anche in ambito internazionale.
A fronte della presenza di altri titoli interessanti e storici, merita un’attenzione particolare il focus dedicato al centenario della nascita di Mario Bava, di cui vengono riproposti cinque film che fanno da consuntivo della sua lunga e importante carriera. In questo senso La ragazza che sapeva troppo, pur esulando dai confini del gotico, assume la valenza fondamentale di anticipatore e per certi versi iniziatore del giallo all’italiana, filone di un successo clamoroso che porterà il cinema di genere italiano a un livello di conoscenza e apprezzamento decisamente internazionale. Con un bianco e nero eccezionale, Bava ci racconta una storia di terrore cittadino, dove il Male si nasconde non più nelle ombre polverose di un castello infestato, ma sulle strade di una Roma irreale e pericolosa. Più centrato rispetto alle dinamiche del gotico è invece La maschera del demonio, per l’impostazione generale delle dinamiche. Nell’Europa ottocentesca, due incauti scienziati riportano in vita una strega morta due secoli prima che cercherò di possedere una giovane. Esordio registico di Bava, qui ispiratissimo da una fotografia molto buona, l’opera si rivelerà un clamoroso successo internazionale e un solido esercizio di bella scrittura e regia. In un’ottima copia restaurata anche Operazione paura, altro must del padre dell’horror italiano.
Giuseppe Previtali