L’angolo di Michele Anselmi
Prendi un’attrice comica, brillante, esperta in spassose imitazioni, pure avvenente, e le costruisci addosso un ruolo di madre popolana tumefatta, vedova, con figlio adolescente inquieto, forte inflessione dialettale, struccandola del tutto per renderla più “vera”, con reggiseno a vista sotto vestaglietta a fiorellini. Purtroppo il giochetto non funziona quasi mai: la prova risulta comunque fasulla, specie se in presenza di labbrone e ciglia scolpite, con inevitabile tendenza alla faccia drammatica per essere presa sul serio. Succedeva, per dire, ad Anna Foglietta in “Un giorno all’improvviso” di Ciro D’Emilio; succede adesso a Virginia Raffaele in “Denti da squalo” di Davide Gentile.
Il film, coprodotto da Gabriele Mainetti che firma anche le musiche, esce oggi, giovedì 8 giugno, targato Lucky Red. Trattasi di esordio di un regista, classe 1985, che s’è formato in Inghilterra e ha lavorato felicemente nel mondo della pubblicità. Gentile confessa nelle interviste di aver poco in comune, sul piano delle esperienze personali, con la storia scritta da Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, pure premiata al Premio Solinas, il che gli avrebbe garantito libertà di stile e “giusta distanza” emotiva. Sarà.
Il cineromanzo di formazione, ambientato in un generico litorale romano, di quelli alla maniera di Claudio Caligari e dei fratelli D’Innocenzo, ruota attorno a un tredicenne dai capelli lunghi e dalla falcata potente in bicicletta. Walter potrebbe essere uno dei “Goonies”, quel fortunato racconto per teen-ager di Richard Donner; e magari non è un caso che la società di Mainetti si chiami Goon Film.
Ad ogni buon conto: Walter vive nel ricordo del padre, morto da operaio in un depuratore cercando di salvare un collega. Un eroe, a suo modo. Solo che da giovane l’uomo fu un balordo, un piccolo gangster amico e sodale di un boss detto “il Corsaro”. E proprio uno squalo il piccolo, curioso, trova nella villa con tanto di torrione riapparsa da una fotografia. Il pescecane si muove irrequieto nell’enorme piscina sporca, come una presenza surreale, solo che dargli da mangiare costa parecchio, sicché Walter, che lì trova un ragazzo più grandicello, pieno di tatuaggi, un certo Carletto, si dedicherà a nutrire il pescione predatore forse legato al ricordo del padre.
Naturalmente essendo una storia proletaria e marginale, tutti parlano romano stretto, anche un po’ forzato, esibito. Echeggiano battute del tipo: “È la roba de tu’ padre, sto a cercà’ de dà un senso”; oppure: “Lo squalo che non fa più paura ha finito d’esse squalo, la vita è di chi ch’ha i denti”; e ancora: “Volete esse pesciolini o re dei predatori?”.
Insomma avete capito. Il ragazzino viene risucchiato in un giro rischioso, di giovani spacciatori senza scrupoli, mentre lui vorrebbe solo fare pace con il ricordo del padre morto, che gli appare nei momenti difficili, come una presenza amica, rassicurante.
Scritto un po’alla carlona, “Denti da squalo” evoca qua e là Spielberg per suggestione, ma si concentra soprattutto su un tono da fiaba realistica, da rito di passaggio con redenzione inclusa e finale liberatorio certo da non rivelare.
Il “pischello” protagonista, fiero e audace fino a farsi male, è incarnato da Tiziano Menichelli, l’amico bulletto e maldestro è Stefano Rosci, di Virginia Raffaele nel ruolo della madre disperata s’è detto, Edoardo Pesce e Claudio Santamaria appaiono in partecipazione speciale, l’uno nei panni del mitico “Corsaro”, ormai barbuto e capellone, l’altro come fantasmatico papà redento, capace di guidare il figlio, con parole sagge, fuori da quel mondo violento al suono di “Quando sarai grande” di Bennato.
Michele Anselmi