Tre film appena passati alla Mostra di Venezia, uno italiano, uno americano e uno francese, escono oggi giovedì 22 settembre nelle sale italiane (è l’ultimo giorno del biglietto a 3.50 euro promesso dall’iniziativa governativa “Cinema in festa”). Sono “Ti mangio il cuore” di Pippo Mezzapesa, “Don’t Worry, Darling” di Olivia Wilde e “I figli degli altri” di Rebecca Zlotovski. Sia pure in maniera diversa, mi paiono tutti e tre poco riusciti, ma può darsi che, fuori dall’agone festivaliero, possano trovare un loro pubblico ora che approdano nelle sale. Vedremo. Ad ogni buon conto, come promemoria, se interessa, ecco quanto scrissi dal Lido due settimane fa o giù di lì.
—-
L’angolo di Michele Anselmi 

Non suoni irriverente, ma “Ti mangio il cuore” a me sembra una parodia involontaria. La parodia di un certo cinema di ambientazione “gomorresca”, anche se qui siamo sul Gargano, dove da decenni si sfidano, in faide di arcaica ferocia contadina, famiglie rivali. C’è un libro/inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini alla base del film presentato nella sezione Orizzonti. Mezzapesa, classe 1980, di cui ricordavo il malinconico “Il bene mio” con Sergio Rubini, prende spunto da quelle pagine per orchestrare una saga criminale in bianco e nero, con fotografia potente in stile “Cinico Tv” di Ciprì e Maresco, che però sembra uscire da una “graphic novel”, per quanto suona schematica e stereotipata, benché arricchita da dati di cronaca.
Si comincia, nel 1960, con una strage sull’aia, nelle campagne del Gargano. Restano sul terreno, uccisi dai Camporeale, tre Malatesta, ma il piccolo Michele, nascosto nella porcilaia, si salva e crescerà preparando la tremenda violenta. Quarantaquattro anni dopo il sopravvissuto è un boss temuto e carismatico che continua a fare il contadino pur muovendo ingenti capitali. La faida familiare pare temporaneamente sepolta, invece basterà che il giovane Andrea Malatesta, mite e avulso dalla violenza, si invaghisca ricambiato della bellissima Marilena, moglie del boss Camporeale, perché riparta la mattanza.
Scrive Mezzapesa: “È una storia archetipica che parla di amore, vendetta e morte, ma anche di una terra di prepotente bellezza, il Gargano, straziata e insanguinata da una mafia poco conosciuta e spietata”. Sarà certo così. Ma il film, fosco e lutulento, ambientato in un Gargano invernale, fatto di fango, pioggia e nebbia, procede per battute a effetto e situazioni da romanzo mafioso. Il codice d’onore, alimentato dalla diabolica madre vedova, porterà infatti il figlio Andrea a trasformarsi in un killer furente, che annusa il sangue delle vittime e regna nel sospetto perenne. Del resto il fratello l’avevo predetto: “Tu pensi di essere agnello, invece sei lupo”. Vabbè.
Scandito dalle note di “Tu si ‘na cosa grande” di Modugno e dalla musiche da banda di due processioni, il racconto procede per ammazzamenti, rese dei conti e porci che divorano i cadaveri, e occhio a quell’anello con il leone che passa da una mano all’altra, perché una terza famiglia della zona, i Montanari, potrebbe…
Temo che Mezzapesa non abbia visto la miniserie tv americana “Hatfields & McCoys”, con Kevin Costner e Bill Paxton, che nel 2012 rievocò la mitica e sanguinosa faida nell’America ottocentesca post-Guerra civile; siccome ogni tanto “Ti mangio il cuore” allude al mondo del West, una sbirciata avrebbe giovato.
Quanto al cast, la cantante Elodie, nel ruolo di Marilena, è certo bella, sensuale e temperamentosa; Francesco Patanè è il riluttante Andrea che cambia carattere un po’ troppo in fretta; Tommaso Ragno il pensoso capostipite Michele che chiede al sicario di lasciargli la faccia; Lidia Vitale la madre assetata di sangue un po’ da tragedia greca; Michele Placido gioca in casa, grazie al dialetto, nel ruolo di chi osserva, forse si finge amico e pregusta. Nelle sale dal 22 settembre con 01- Rai Cinema, produce Indigo Film.
* * *
l primo vero scivolone della Mostra arriva invece con “Don’t Worry Darling”, seconda regia dell’attrice Olivia Wilde, sistemato fuori concorso. Parecchio gonfiato dai mass-media, il film è di quelli che un po’ bluffano, e ci sta, ma anche barano, per la serie: quanto c’è di reale in ciò che stiamo vedendo? La partenza è bruciante, con il fumigante blues “Night Time Is the Right Time” cantata da Ray Charles, a introdurci in una ricca festa in stile tardi anni Cinquanta. Tutti bevono e schiamazzano, vestiti lussuosamente, nella liliale comunità ai margini del deserto. Case eleganti, interni color pastello, auto rombanti, donne con la permanente che passano le giornate a ciacolare in attesa che tornino i mariti, tutti alle prese con un misterioso Progetto Victory legato allo sviluppo, non meglio definito, di materiali avanzati”. Viene da pensare a qualche laboratorio da “guerra fredda”, ma sarà così? Di sicuro c’è sotto qualcosa, l’armonioso paradiso tale non è, come percepisce la bionda casalinga Alice quando l’infelice vicina Margaret sale su un tetto per tagliarsi la gola.
Potrei citare infiniti titoli di film a proposito della sceneggiatura di Katie Silberman, col rischia di rivelare troppo. Olivia Wilde sostiene che “Don’t Worry Darling” è una “lettera d’amore a quel cinema che supera i confini della nostra immaginazione”. Vabbè. Tra mitiche canzoni d’epoca, colori accesi e balletti geometrici alla Ester Williams (in bianco e nero), il film allude e suggerisce, improvvisamente aprendo una parentesi ambientata ai tempi nostri. Si parla, avrete capito, del ruolo delle donne nella società americana. Florence Pugh è convincente nel ruolo della ribelle Alice, suo marito è incarnato dalla popstar Harry Styles, molto atteso e applaudito dalle ragazzine qui al Lido. Nelle sale dal 22 settembre con Warner Bros.
* * *
Una prova splendida è quella offerta da Virginie Efira nel terzo film in concorso della giornata: il francese “I figli degli altri” di Rebecca Zlotovski. Efira, l’anno scorso in giuria alla Mostra, è un’attrice bella, cangiante e molto espressiva, capace di misurarsi con le storie più diverse, anche in commedia. Qui è Rachel, una quarantenne single, molto corteggiata, che insegna in un liceo parigino, dove mostra agli studenti riottosi e annoiati “Le relazioni pericolose” di Roger Vadim. A un corso di chitarra incontra Alì, un padre separato con figlia piccola, Leila, a carico. Tra i due è subito sesso, poi amore e una specie di convivenza, con Rachel che si prende cura, come fosse sua figlia, della bambina. Ma amare i figli degli altri è un grosso rischio.
Se la partenza è loffia, troppo patinata e ricolma di musica inutile, il film via via prende quota, bene raccontando euforie e depressioni di Rachel, la quale peraltro ha saputo dal vecchio ginecologo, incarnato dal documentarista Frederick Wiseman in partecipazione amichevole, che i suoi follicoli sono pochi, debolucci.
La mano femminile della regista, alle prese con una vicenda autobiografica, si sente, specie nel ritratto di Rachel, così attraente e sensibile, infine rassegnata alla delusione amorosa. Anche se… Lui è incarnato da Roschdy Zem, mentre Chiara Mastroianni fa la tormentata madre di Leila. Sui titoli di coda risuona “Les eaux de mars” di Moustaki, poi rifatta in Italia da Mina. Il film uscirà in Italia il 22 settembre con Europictures.

Michele Anselmi