Sound & Vision
È disponibile da qualche giorno su Rai Play, dopo essere stato trasmesso in seconda serata su Rai 5, “Roma Caput Disco”. Il documentario, girato da Corrado Rizza e narrato dalla voce di Pino Insegno, dando voce ai suoi molteplici protagonisti, ripercorre le tappe che hanno portato alla nascita della scena disco romana. Iniziando dall’apertura del leggendario Piper nel 1965, il locale in cui si esibirono anche i Pink Floyd, il film racconta dell’impatto della rivoluzione culturale portata dal rock, dalla contestazione del Sessantotto e dalle radio libere, ed il conseguente avvento dei primi pionieristici disc-jockey. La Città Eterna, nel pieno della “Dolce Vita” descritta pochi anni prima da Federico Fellini, brulicava di locali notturni e di una spumeggiante voglia di fare festa. Il documentario, tramite interviste a chi era il protagonista di quegli anni, riesce a ricostruire il sottobosco romano fatto di amicizie reciproche tra dj e di mixtape scambiati per cercare di ottenere una serata in uno dei tanti locali di grido. Jovanotti, ma anche Marco Trani e Claudio Coccoluto, tra i tanti, raccontano la loro genesi artistica e musicale, inscindibilmente legata a doppio filo alla scena che si stava sviluppando nella Capitale. Una scena che travalica i singoli talenti personali e vive dell’intelligenza collettiva della capillare rete sociale romana.
Negli anni Settanta, complice anche l’avvento della disco music, la figura del disc-jockey si stava istituzionalizzando diventando sempre più centrale. Roma era paragonabile a New York per il fermento culturale che gravitava intorno ai club ed i dj di punta, prima dell’avvento di Internet, erano sempre a caccia delle ultime novità, soprattutto straniere, per far ballare i locali italiani. I vinili (e anche le cassette che i dj registravano durante le loro serate, utilizzandole poi come biglietti da visita) erano dei veri e propri vettori di cultura musicale. Non stupisce che Jovanotti confessi, ad un certo punto, di aver speso tutti i suoi primi guadagni in dischi da utilizzare nei suoi set. Alla fine degli anni Ottanta da Chicago arrivano gli echi della house music e della techno ed i dj italiani guardano a quella scena in cerca di nuovi singoli di successo. Nella terza “Dolce Vita” di Roma le regole della pista da ballo si ridefiniscono ancora: dai ritmi spezzati ed obliqui della disco music si passa ai martellanti quattro quarti elettronici della house. Una rivoluzione, questa, benché possano pensarne i puristi, della stessa portata del rock and roll. Stupisce sentire il racconto che dà Lorenzo Cherubini di quei momenti: le persone, all’inizio, non sapevano come ballare questi nuovi ritmi e guardavano con diffidenza le casse in quattro quarti. I dj come Coccoluto, invece, avevano intuito le potenzialità di questi nuovi ritmi serrati e cominciarono ad incorporarli pionieristicamente nei loro mixtape. Di nuovo, la figura del dj come una sorta di Hermes che scende giù dall’Olimpo della seconda arte per sussurrare e comunicare al proprio pubblico quali sono le ultime leggi che dominano il dancefloor.
Dal ritratto che il documentario dipinge di quegli anni e di quella scena stupisce soprattutto un particolare. Da molti critici culturali gli anni Ottanta sono stati bollati come una decade “vuota”, dove l’edonismo imperante di stampo americano aveva colonizzato anche il nostro paese. Un decennio in cui anche la musica si era svuotata del suo potenziale rivoluzionario, del suo sguardo utopico che caratterizzava generi avanguardistici come il rock progressivo, per lasciare spazio esclusivamente a valori consumistici e materialistici, espressi tramite sonorità pastiche ricalcate pedissequamente fino allo sfinimento. Gli autori del documentario ed i vari personaggi intervistati vogliono offrire una contro narrazione a questa visione apocalittica: gli anni Ottanta, secondo loro, non sono stati solamente una decade la cui apparenza sfarzosa ed esagerata nascondeva, in realtà, un profonda vacuità; sono stati anche il banco di prova per gli esperimenti che hanno portato nella musica mainstream, grazie al synth pop prima ed alla house dopo, le sonorità elettroniche che oggi dominano il mercato discografico; sono stati anni in cui la figura del disc-jockey ha acquisito sempre maggior rilevanza e centralità, per diventare, oggi, importante quasi quanto quella di una rock star. Forse anche di più, sarebbe disposto, sicuramente, a sostenere qualcuno.
Gioele Barsotti