L’angolo di Michele Anselmi
Non vorrei sembrare poco sensibile alle ragioni del cinema francese, generalmente migliore del nostro. Ma neanche tre mesi fa è uscito l’opera seconda di Louis Garrel, “L’uomo fedele”, che in undici settimane ha incassato 189mila euro. Non proprio un successone. Sorprende un po’, quindi, che sia già nelle sale, da giovedì 4 luglio con Movies Inspired, pure il debutto del 35enne regista e attore, quel “Due amici” girato nel 2015 e rimasto a lungo nel cassetto.
Attore carismatico in Francia, specializzato in ruoli da maledetto, scorticato o dannato per quel suo viso aguzzo alla Andrea Pazienza, Garrel non ha il talento registico del padre Philippe; però piace molto ai cinefili da festival, sin dai tempi di “The Dreamers” con Bertolucci, soprattutto piace alle attrici che ingaggia: se la sua attuale moglie Laetitia Casta appare in “L’uomo fedele”, l’ex fidanzata Golshifteh Farahani invece è coprotagonista di “Due amici”. Tutto in famiglia, insomma.
Il “triangolo” è un classico del cinema sentimentale transalpino, anche se qui, più che “Jules et Jim” di Truffaut e le infinite variazioni sul tema, sarebbe il dramma “I capricci di Marianna” di Alfred de Musset a fare da spunto. Solo che non siamo in una Napoli ottocentesca, bensì a Parigi oggi, e la tragedia è assai meno fosca.
Mona, appunto l’iraniana Golshifteh Farahani, è una giovane donna in regime di semilibertà: di notte torna in carcere, di giorno lavora in un bar della Gare du Nord. Non sappiamo che cosa abbia fatto, è tosta, fiera e silenziosa, e certo non vorrebbe scocciature da Clément, un trentenne stralunato e romantico che s’è innamorato perdutamente di lei. Poi c’è Abel, ossia Garrel, l’amico bello, egoista e risoluto, pure con velleità da scrittore benché lavori in un parcheggio, che vorrebbe aiutare Clément a rimorchiare Mona; ma un suo gesto irresponsabile fa perdere il treno alla ragazza e a quel punto tutto si complica terribilmente.
“Perché tieni sempre il brocio? Pensi che ti faccia sembrare più profondo?” dice Mona ad Abel, e la frase vale anche per il film. Dove i personaggi fanno cose insensate, combinano pasticci, si incasinano la vita, sul filo di una tensione tra erotica, omosex e sentimentale, complicata dal maldestro “ménage à trois” che sembra instaurarsi, con riflessi sull’amicizia che lega i due uomini. Echi del Sessantotto e qualcosa di “La regola del gioco” si mischiano a balli sfrenati e vaniloqui in chiesa, mentre Mona, data per evasa, comincia a prenderci gusto. Tutto molto francese, inclusi gli affondi buffi, le deviazioni pensose e i sensi di colpa, più tanta musica che poco c’entra con la vicenda, anche se porta la firma di Philippe Sarde. L’ariosa leggerezza cercata dal regista per me sta altrove.
PS. Anche in “L’uomo fedele” il personaggio interpretato da Garrel si chiama Abel. Una sorta di alter-ego da cinema, in stile Antoine Doinel.
Michele Anselmi