L’angolo di Michele Anselmi
“Due” è un film da vedere. Sempre che si possa vederlo: la riapertura delle sale risulta finora piuttosto simbolica, ma ci sono comunque circa quaranta copie in giro per l’Italia. L’ha diretto un regista italiano appena quarantenne, Filippo Meneghetti, che vive a Parigi e mostra, in questo debutto, di possedere un notevole talento. Non per niente la Francia l’aveva designato come titolo nazionale in vista degli Oscar. Teodora ha fatto bene ad acquistarlo e c’è da augurarsi che, da giovedì 6 maggio, il pubblico italiano affamato di cinema al cinema si faccia incuriosire.
Meneghetti scrive nelle note di regia che “il film racconta la storia di una passione insieme dolce e caparbia”, ma soprattutto pone una domanda: “Quanto influisce sulle nostre azioni lo sguardo degli altri?”. Domanda non di poco conto.
Siamo in una media città francese, dove due donne mature attorno ai 70 anni, Nina e Madeleine, si amano in segreto da decenni. Per non dare nell’occhio, abitano in due appartamenti sullo stesso pianerottolo, all’ultimo piano, ma è in quello di Madeleine, vedova di un marito a lungo detestato e madre di due quarantenni non proprio simpatici, che la coppia convive serenamente.
Nina, lesbica da sempre e senza legami, spinge per vendere le due case, lasciare la Francia e trasferirsi a Roma, ma la sua compagna sembra tergiversare, ha paura di dirlo ai figli, è come bloccata all’idea di rivelare quel rapporto “scandaloso”. E il peggio deve ancora venire, con effetti devastanti sulla coppia, come stritolata in un meccanismo infernale di silenzi, controlli e autocensure.
In “Due” spira un’aria da thriller intimista, un po’ claustrofobico, con qualcosa di Polanski, nel senso che Meneghetti, tra premonizioni, sogni, indizi e rumori minacciosi, bene restituisce la tensione fisica e psicologica nella quale le due donne sono costrette a muoversi per non far precipitare gli eventi verso la tragedia.
Una fortunata canzone degli anni Sessanta, “Chariot” di Betty Curtis, a sua volta tratta dall’americana “I Will Follow Him”, scandisce i momenti sentimentalmente cruciali di “Due”, e per una volta l’effetto non è peregrino o sdolcinato. Quel testo in chiave etero si adatta senza forzature al contesto omosessuale; ma certo giova sapere che la sceneggiatura, firmata da Meneghetti insieme a Malysone Bovorasmy e Florence Vignon, è stata scritta nel 2013, quando gli attivisti conservatori francesi pro-life raccolti nell’associazione “La Manif pour Tous” si mobilitarono ferocemente contro i matrimoni gay.
Tuttavia “Due” non è un film militante: racconta un tempo emotivamente sospeso, l’ingiustizia che si cela sotto l’ipocrisia dei parenti, la meschinità del ricatto, in fondo l’urgenza di uno strappo dignitoso, alla faccia di tutto e tutti.
Nina e Madeleine, così diverse per temperamento ma accomunate da un tenero sentimento amoroso, sono incarnate rispettivamente dalla tedesca Barbara Sukova e dalla francese Martine Chevallier; ma non è da meno Léa Druker nei panni della figlia Anne: un’attrice vibrante che qualcuno ricorderà moglie infelice e angariata nel film “L’affido”.
Michele Anselmi