L’angolo di Michele Anselmi 

È un titolo corretto “Il segreto di una famiglia”, anche se l’originale “La Quietud” suona più suggestivo, decisamente allusivo. Passato fuori concorso a Venezia 2018, arriva finalmente nelle sale italiane con Bim, giovedì 4 luglio, il nuovo film dell’argentino Pablo Trapero, già premiato proprio al Lido nel 2015 per “El Clan”. Trattasi di un mélo a forti tinte, soprattutto ad alta gradazione erotica.
Il titolo originale si riferisce al nome di una gigantesca tenuta di campagna poco distante da Buenos Aires. Qui torna da Parigi, dopo l’ictus che ha quasi ucciso il vecchio padre, la trentenne Eugenia, bella e sensuale come la sorella Mia. Nell’incipit, molto ben scritto e recitato, anche audace sul piano visivo, le due giovani donne si masturbano gioiosamente a letto ricordando il nerboruto idraulico della loro adolescenza; ma in realtà c’è poco da stare quieti a “La Quietud”.
Altro che famiglia unita e solidale. La madre-tiranna, pure molto rifatta, non vede l’ora che il marito schiatti e di sicuro detesta la figlia maggiore Mia; la quale va a letto appena può con Vincent, il fidanzato di Eugenia; a sua volta lesta nell’accoppiarsi allegramente con il figlio di un avvocato locale. Quando Eugenia annuncia di essere incinta di Vincent la fragile tregua si trasforma in un’aspra resa dei conti, senza esclusione di colpi. Come se non bastasse, piano piano emerge che l’origine di quella sterminata fazenda risale agli anni bui della dittatura militare fascista (1976-1983)
Martina Gusman e Bérénice Bejo (quella di “The Artist”) sono così simili, anche nella bellezza, da sembrare davvero sorelle nemiche-amiche. Le due attrici si impongono nel gioco al massacro che presto dissolve ipocrisie e smaschera bugie; il tutto dentro uno stile insinuante, che mescola telenovela e dramma storico, usando la commedia per evocare la tragedia.
Il problema di Trapero, il quale parla di “un film intimo sull’universo femminile e sulla sorellanza”, è che ogni tanto gli scappa, nel gonfiarsi degli eventi, la comicità involontaria; per non dire dell’uso peregrino, diciamo pure rozzo, delle canzoni a commento. Anche se quella che chiude la poco commendevole storia, benché all’insegna di un’inattesa complicità sorellesca, ci sta tutta: si chiama “Amor completo”, la canta Mon Laferte.

Michele Anselmi