L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
Ho una debolezza, diciamo critica: non mi perdo un film con Diane Lane, anche quelli brutti (e ne ha fatti), perché la trovo un’attrice straordinaria. Brava, duttile, bella, capace di invecchiare senza ritocchi plastici, dotata di una capacità non comune, almeno nel cinema hollywoodiano, di indossare personaggi intonati alla sua età, oggi ha 52 anni. Certo, è stata sposata con Christophe Lambert, e non depone a suo favore; ma anche il matrimonio con Josh Brolin non è andata troppo meglio, del resto.
“Parigi può attendere”, uscito giovedì 15 giugno con GoodFilms, la propone in uno dei ruoli che forse le riescono meglio: la moglie pragmatica e insoddisfatta in cerca di un’emozione in più. Infatti ha visto giusto l’81enne regista esordiente Eleanor Coppola, compagna del più famoso Francis e mamma di Sofia, a sceglierla per questa romantica commedia “on the road” che reinventa una lontana esperienza autobiografica. Il film suona alquanto turistico, è ricolmo di musica inutile, sfrutta tutti i cliché possibili e immaginabili sulla dolcezze del vivere francese, cibo, dolci, vini, formaggi e panorami, cita Renoir e i Lumière, idealizza la Provenza assolata e la bellezza del perder tempo (di qui il titolo); e tuttavia, sotto la cornice un po’ prevedibile, emerge un palpito più sottile, anche il ritratto non convenzionale di una donna americana all’estero.
Diane Lane, che già si avventurò con Raoul Bova “Sotto il sole della Toscana” una quindicina di anni fa, qui incarna Anne, consorte di un frenetico produttore hollywoodiano, è Alec Baldwin, alle prese con un kolossal in Marocco. Tutto stress e telefonino, Michael deve partire alla volta di Budapest dopo un passaggio al festival di Cannes; ma lei soffre di una leggera otite, meglio non prendere l’aereo, così accetta l’invito di Jacques, cioè Arnaud Viard, socio francese del marito, che le offre di accompagnarla a Parigi a bordo della sua vecchia Peugeot 504 decappottabile. Il viaggio dovrebbe durare un giorno, non sarà così.
Se la memoria corre a “Due per la strada” di Stanley Donen, con Albert Finney e Audrey Hepburn, è anche vero che “Parigi può attendere” sfodera minori ambizioni di stile e prospettiva. La “deb” Coppola prende per mano i due viaggiatori, li osserva con ironia mentre si studiano strada facendo, e usa le stazioni di questa lunga gita, tra prelibatezze enogastronomiche, cinghie di trasmissione che si rompono e paesaggi soavi, per raccontare una seduzione possibile. Lei, madre ed ex proprietaria di una boutique, si intende di stoffe, fotografa ogni dettaglio e assaggia volentieri vini, formaggi e dolci al cioccolato; lui, felicemente immerso nel culto della provincia francese, non bello ma impenitente tombeur de femmes, fa di tutto per rendere quel viaggio memorabile.
La chiave del film sta nello sguardo di Diane Lane, e anche nella sua voce (per questo è consigliabile la versione originale che a Roma danno al Nuovo Olimpia): Anne è guardinga, si lascia corteggiare un po’ dal maschio francese ma punta i piedi all’occorrenza, il suo sguardo è privo di struggimenti pur cogliendo il rischio che corre, rispetto alla tenuta del suo matrimonio, nel farsi ribattezzare golosamente Brûlée e nell’accettare quel letto di rose profumate tra una confessione e l’altra.
Quel che succede alla fine, una volta a Parigi, è meglio tacerlo, però il film ha il merito di non essere poi così prevedibile: basterebbe, per tutte, l’ultima scena, davvero azzeccata, dove la grazia concreta e radiosa di Anne si condensa in un gesto che più femminile non si può.
Michele Anselmi