Ellen Burstyn e l’Actors Studio | di Roberto Faenza per "Il Fatto Quotidiano"

Avviso al cinema italiano. Attori, registi, coach, se continuate a spacciarvi per membri e/o affiliati dell’Actors Studio, o peggio ad aprire scuole di recitazione con il suo marchio, come di recente hanno fatto alcuni sventurati a Roma e Milano, rischiate grosso: una bella querela e relativa richiesta di danni. La scuola più prestigiosa del mondo è stanca di essere plagiata e la sua executive director Deborah Dixon, una donna che non scherza, ha arruolato un team di avvocati sparsi per il mondo per mettere fine a questo genere di cose. Ellen Burstyn, 78 anni, una pagina di storia del cinema americano, 123 film che ogni anno crescono di numero, è l’attuale Presidente dell’AS e lo dirige insieme ad Al Pacino e Harvey Keitel. E’ anche la prima donna eletta a capo del potente sindacato degli attori americani. Ha vinto un Oscar con il film di Scorsese Alice non abita più qui, 6 nominations, 1 Golden Globe, 1 Tony Award e una trentina di premi internazionali. Tra i film che l’hanno resa famosa L’esorcista, L’ultimo spettacolo, Resurrection, Requiem For a Dream.
Approfitto che sarà tra i protagonisti del mio prossimo film (ispirato al romanzo di Peter Cameron Un giorno questo dolore ti sarò utile, che girerò a New York) per parlare con Ellen di cinema. La prima cosa che mi dice è che Hollywood sta riducendo i film a pura merce: gli attori arrivano sul set senza tempo di prepararsi e magari alla prima scena devono entrare nel letto del partner senza neppure conoscerlo. Incontro Ellen al primo piano del 432 West 44a strada, il tempio venerato dagli attori di mezzo mondo. Non a caso la facciata della scuola è quella di una chiesa e la sacralità del luogo è data dal teatro tutto nero, dove si tengono lezioni e stages.
Ellen ha alle spalle una vita avventurosa. L’ha raccontata in un libro-testimonianza Lessons in Becoming Myself, che  un giorno potrebbe diventare un film, tanto è avvincente e pieno. Sono pagine di un coraggio shoccante, per la capacità di mettersi a nudo e raccontare pezzi della propria vita così intimi da chiedersi quanto le sia costato renderli pubblici. La sua infanzia è dominata da una madre possessiva che cambia marito come gli abiti. Da bambina ama recitare a scuola e a dodici anni già decide che farà l’attrice. Uno dei mariti della madre le dice brutalmente che le attrici diventano tali solo se sono disposte a fare le puttane. Ellen gli risponde che non sarà il suo caso. Il giorno in cui compie 18 anni si presenta alla madre con una valigia e annuncia che se ne va. La madre la guarda sgomenta, ma non fa tempo a dire una parola, lei è già per strada. Parte alla scoperta di se stessa e dell’America con in tasca un biglietto di treno e 3 dollari. E’ bellissima, si ferma a Detroit in cerca di lavoro. Ha studiato moda e le propongono di fare prima la segretaria, poi la modella. Nel frattempo è stata costretta ad abortire da un uomo che scopre essere spostato e che si eccita a fare sesso quando lei piange. Al tempo non conosceva il termine sadomasochismo, ma guardando indietro pensa che fosse il termine appropriato.
Negli anni Cinquanta riesce a fare un provino per una commedia a Broadway dove cercano un’attrice che sembri una modella. Lo vince e da quel momento inizia la scalata ai ruoli di protagonista. La chiama Peter Bogdanovich e poi tutti gli altri, da William Friedkin a Oliver Stone a Alain Resnais. Divertente quando racconta che insieme a Friedkin nella nuova limousine di Francis Ford Coppola si affianca l’auto di Bogdanovich. Dal finestrino grida: ”L’ultimo spettacolo, il miglior film dopo Citizen Kane”. Gli risponde Friedkin: “French Connection, 5 nomination all’Oscar”. Coppola non si sente da meno, si sporge un poco e grida: “Il padrino, 150 milioni di dollari!”. Inedita quando ricorda l’incontro con Scorsese. Ellen ha scoperto Alice non abita più qui scritto da Bob Getchell. Se ne innamora perché sarebbe la prima volta che un film viene raccontato dal punto di vista di una donna. Propone a Coppola di dirigerlo. Lui le suggerisce di vedere il film di un giovane regista newyorchese, Mean Streets. Ellen incontra Scorsese e convince la Warner, riluttante perché ancora sconosciuto, a fargli dirigere il film. Tiene duro quando i produttori vogliono a tutti costi un happy end. Impone nel cast una giovane attrice che diventerà una star: Jodie Foster. Ellen verrà premiata con l’Oscar come migliore attrice protagonista e aprirà a Scorsese le porte di Hollywood. Crea scandalo non andando alla premiazione perché non vuole lasciare il pubblico di Broadway, dove sta recitando. E quando Scorsese le telefona da Cannes annunciandole che sono pronti a premiarla purchè venga a ritirare il premio, risponde: non sono andata all’Oscar, non verrò a Cannes. Nonostante il successo, non si sente realizzata. Le manca qualcosa, cerca ancora. Arriva l’incontro che le cambia la vita: Lee Strasberg. Attore e regista di origine ebraica ha perfezionato il metodo del russo Stanislavskij. Uso il termine metodo e Ellen mi corregge: "Stanislavskij non ha mai parlato di metodo, ma di “sistema”. E’ con Strasberg che il sistema si evolve in metodo. Al primo incontro con Strasberg, chiamato da Elia Kazan a insegnare all’Actors Studio, Ellen rimane fulminata. Lui riesce a scoprire una vita che lei ha dentro e non conosce. Le spiega che il talento non si insegna, la tecnica sì. Cita Diderot, che ha scritto un famoso saggio sul paradosso dell’attore. Deve essere guidato dall’istinto o dalla ragione? L’attore, le spiega Strasberg, deve essere al tempo stesso pianoforte e pianista. Ellen si fortifica. Quando mentre gira L’esorcista deve dire le battute finali, si ribella a regista e scrittore: “non sono una bambola, questi diologhi non li sento miei, voglio cambiarli”. Friedkin e Blatty sono costretti a cambiarli e si dimostrerà che aveva ragione.
In pochi anni dall’Actors Studio passano le star più famose, Marlon Brando, James Dean, Paul Newman, Robert De Niro, Al Pacino, Meryl Streep, Marilyn Monroe. Chiedo a Ellen se ha letto il libro Bends, dove Arthur Miller fa a pezzi Strasberg e lo accusa di aver distrutto la carriera della Monroe, plagiandola e rendendola vittima di una “setta”, appunto il metodo Strasberg. Ellen solleva le mani e lancia una battuta lapidaria: è Miller che ha distrutto la carriera di Marilyn, facendole pesare la sua presunta superiorità intellettuale e rimproverandole di essere sciocca e incolta. Poi le chiedo se ha saputo di un libro nel quale si rivelano cose terribili su Paul Newman: The Man Behind the Baby Blues. Lo si accusa di aver sodomizzato alcuni partner sul set e di avere addirittura condiviso con il figlio una tresca omosessuale con l’attore Sal Mineo. Si alza inorridita. Paul, esclama, era la persona più generosa e limpida del mondo. Mi fissa con aria severa: com’è possibile che in Italia leggiate questa spazzatura?
Forse ha ragione, forse in Italia dell’America sappiamo troppo poco.