L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Isabella Ragonese è la mia attrice preferita, tra le italiane. Palermitana, classe 1981, è brava, duttile, spiazzante, anche graziosa, anzi di più. Le gambe agili e ben tornite sarebbero piaciute a Truffaut, un esperto del ramo; e il naso importante, che la fa somigliare un po’ a Charlotte Gainsbourg, le dona una bellezza irregolare, non convenzionale. Poi è brava, come sa chiunque l’abbia apprezzata sin dai tempi di “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì, era il 2008, dove era Marta, la laureata in filosofia teorica che finisce a lavorare in un call center e lì mette a punto il suo saggio tra Heidegger e il “Grande Fratello”.

Nello stesso giorno, giovedì 9 marzo, sono usciti due film da lei girati: il drammatico “Il padre d’Italia” di Fabio Mollo, che la vede protagonista insieme a Luca Marinelli; e la commedia “Questione di Karma” di Edoardo Falcone, nella quale si ritaglia un ruolo di contorno. Il 21 marzo l’attrice debutta a teatro, a Milano, con “Louise e Renée”, una pièce tratta da Honoré de Balzac per la regia di Sonia Bergamasco; e intanto, dopo averla vista in tv nei panni di Marina, l’amorevole moglie-fantasma del vice questore Rocco Schiavone, ci si chiede quando uscirà nelle sale, dopo l’anteprima alla Festa di Roma, “Sole Cuore Amore” di Daniele Vicari, nel quale incarna una mamma e barista devastata dalla fatica.

Insomma, il lavoro non manca. Lei, del resto, si definisce “solare, positiva, accogliente”, anche se le sue attrici di riferimento sono Gena Rowlands, Debra Winger, Monica Vitti, “donne volitive, forti e anche un po’ mascoline”. La femminilità, disse in un’intervista, “non ho ancora capito bene cos’è, forse è un misto di forza e debolezza”. Vabbè. Confessa che gli apprezzamenti estetici la sorprendono e la imbarazzano, ma forse ci gioca un po’. Forse.

Detto questo, temo che Isabella Ragonese fatichi un po’ a trovare il regista perfetto per lei, capace cioè di valorizzare, un po’ come fece Virzì, le sue doti naturali e il suo rigore professionale. Prendete “Il padre d’Italia” di Fabio Mollo, prodotto da Donatella Botti con Raicinema e distribuito da Good Films. Il regista calabrese le cuce addosso la parte di Mia, una trentenne sciroccata e incinta, sedicente cantante rock, eterna adolescente, dai capelli vistosamente tinti di rosso e abiti a strati da “artista maledetta”. Una mina vagante, per dirla con Ozpetek, e insieme una donna sbandata alla ricerca di protezione. Crede di trovarla in Paolo, un coetaneo introverso e posato, che di giorno lavora in una ditta di elettrodomestici e di notte rimorchia omosessuali nei locali gay. Il caso, diciamo il copione, fa incrociare i due personaggi a Torino, e a quel punto un passaggio in furgone fino ad Asti si trasformerà in un picaresca avventura “on the road”, alla maniera di “Qualcosa di travolgente”, dagli esiti inattesi.
“Il padre d’Italia” è un titolo curioso, perché gioca su due piani, essendo Italia il nome scelto per la bambina nascitura. Avrete capito: Paolo è omosessuale ma, essendo cresciuto in un orfanotrofio, accarezza l’idea di fare il papà di quella creatura, forse pure di sposare Mia, la quale, invece, non vuole legami, scappa da tutto e tutti, con spirito randagio. “Ci sono sogni che si avverano, sogni che non ho neanche il coraggio di sognare” confessa l’uomo nell’incipit. Invece alla fine…
Riprese insistite “di nuca”, sfocature d’obbligo, musica elettro-pop a palla, il solito balletto al suono di “Non sono una signora” della Bertè, riprese ardite, frasi smozzicate. “Il padre d’Italia” è ambizioso nella forma ma convenzionale nel tratteggio psicologico, lo stile prevale sulla sostanza, e alla fine ti chiedi se il film non sprechi il talento dei due interpreti, di sicuro molto coinvolti nel progetto e tuttavia cristallizzati in ruoli stereotipati, esteriori. Anche per questo, trovo, Isabella Ragonese meriterebbe di meglio.

Michele Anselmi