L’angolo di Michele Anselmi

Una piccola buona notizia tra le pessime notizie che arrivano dall’Ucraina in fiamme. Oggi, giovedì 17 marzo, esce nelle sale italiane con la benemerita Wanted Cinema il film ucraino “Reflection”, scritto e diretto dal cinquantenne Valentin Vasyanovych. Il titolo originale recita “Vidblysk”, che significa più correttamente “riflesso” (una scena cruciale spiega tutto). Adesso tutti ne parlano come di un capolavoro, un film irrinunciabile alla luce degli eventi ucraini, e va benissimo; ma appena il 7 settembre scorso, durante la proiezione per la stampa alla Mostra del cinema di Venezia, piovvero “buu”, insofferenze, addirittura grida di “vergogna!”. Naturalmente il film non vinse nulla.
Certo “Reflection” chiede molto allo spettatore, bisogna saperlo prima di andare a vederlo. Nell’arco di 125 minuti, Vasyanovych impagina il racconto attraverso lunghe sequenze a inquadratura fissa, frontale, senza campi e controcampi sui visi, diciamo un po’ “alla” Tarkovskij, e solo di rado la cinepresa si mette in movimento. Non bastasse, ci sono tempi dilatati, estenuanti, quasi a sfidare l’insofferenza di chi sta guardando. Ma anch’essi corrispondano al doloroso sentimento racchiuso nel film.
È il 2014, primo anno del conflitto tra Ucraina e Russia, quando Putin, dopo un referendum in buona misura illegittimo, rivendica l’annessione di Crimea e Donbass alla Federazione russa. A Kiev il chirurgo Serhiy sta per partire per il fronte, poco convinto. S’è separato dalla moglie, che ora sta con un soldato impegnato nei combattimenti, e vorrebbe occuparsi meglio della figlia adolescente. La prima scena è magnifica: gli adulti parlano preoccupati della guerra, mentre i loro figli, dentro sottili tute bianche, si sparano allegramente addosso proiettili di vernice.
Si muore davvero, invece, a non troppi chilometri di distanza, e il peggio, per il medico, arriva quando viene catturato dagli “specialisti” russi, senza divisa, mandati in soccorso ai “separatisti” sul campo. Umiliato, angariato, picchiato, Serhiy viene risparmiato perché utile al controllo dei prigionieri seviziati e forse in vista di uno scambio. Una volta liberato e tornato nella sua casa borghese con finestra panoramica, non sarà più l’uomo di prima. Forse migliore, di sicuro più capace di prendersi cura della figlia. Ma riuscirà a confessare l’atroce, squassante, segreto che custodisce?
Le torture praticate dai russi sono rese con minuziosa ferocia, e viene da chiudere gli occhi di fronte a tali crudeltà; ma lo sguardo non è gratuito, come alcuni critici scrissero esecrando, secondo me serve a spiegare, senza troppe parole, la scorticata condizione umana del protagonista. Certo “Reflection” non è una passeggiata, e magari alcune allegorie potranno risultare poetizzanti (quel piccione che si sfracella sul vetro, i cani inselvatichiti nel parco, i ricchi ucraini che giocano a Polo); ma si esce dal film disposti a condividere con i protagonisti della storia il lento ritorno a una specie di normalità.
Quella normalità che dal 24 febbraio 2022 è del tutto saltata a causa di una guerra ancora più estesa e devastante, rispetto al 2014, e nessuno sa per ora dire quanto finirà “l’operazione speciale” – che orribile e ipocrita eufemismo – lanciata da Putin.

Michele Anselmi