Si fa un gran parlare di webserie o webfiction. Ma quanti veramente sono all’altezza di poterlo fare? C’è chi giunge persino a parlare di un vero e proprio mercato delle webserie in Italia. Ma la realtà è un’altra e le discipline economiche insegnano che vi è vero mercato soltanto quando gli scambi commerciali che lo caratterizzano sono sinallagmatici, cioè, quando ogni parte assume l’obbligazione di eseguire una prestazione in favore dell’altro contraente esclusivamente, in quanto siffatta parte a sua volta assume l’obbligazione di eseguire una prestazione. Di conseguenza possiamo tristemente concludere che esiste un mercato della droga, uno delle armi e purtroppo anche uno della prostituzione, ma quello delle webserie Made in Italy non c’è. Per lo più ci troviamo di fronte ad un universo che, per quanto variegato, è costituito da lavori realizzati con grandi sforzi e con enorme passione ma ceduti in fruizione completamente gratuita.
Amatoriali o professionali, le serie tricolore che affollano la rete vengono realizzate per scopi pubblicitari, in genere infatti gli autori le creano per promuovere la propria attività di videomaker o, in qualche caso, per sponsorizzare determinati prodotti o aziende; è il caso ad esempio delle serie brandizzate che, tuttavia, pongono forti limiti per quanto riguarda la libertà creativa.
È raro trovare investitori disposti a finanziare progetti completamente liberi e innovativi, a causa di due principali fattori. Innanzitutto, in Italia, negli ultimi anni si è data priorità alla diffusione del digitale terrestre, trascurando l’importanza di uno sviluppo maggiore della cosiddetta “banda larga” che, attirando maggiormente la raccolta pubblicitaria, avrebbe di conseguenza spostato una gran fetta di introiti dai canali televisivi alle piattaforme su web garantendo così la disponibilità di eventuali sponsor. Il secondo fattore in parte è conseguente al primo. Grazie all’ampio consenso di cui la televisione gode ancora, i programmi del tubo catodico restano ancora lo strumento di entertainment più amato. Molti spettatori, magari in là con gli anni, conoscono bene termini come fiction ma sanno ben poco di webserie o di Netflix. In America o nel resto d’Europa, invece, lo spostamento di grossa parte di inserzionisti dalla carta stampata, radio e tv verso internet ha avuto come diretta conseguenza la produzione di opere filmiche che nulla hanno da invidiare a titoli proiettati nelle sale, per editing, per effetti speciali per fotografia.
Non resta che attendere gli sviluppi dello scenario futuro nel nostro paese. Certo sarebbe auspicabile che casomai il mercato dovesse sbocciare anche da noi, appartenga veramente a chi sin da tempi non sospetti ha dedicato il proprio tempo a sperimentare e ad erigere le fondamenta di questo nuovo linguaggio.
Michele Pinto