L’angolo di Michele Anselmi
È un’altra “stranezza”, non la svogliatura pirandelliana raccontata dal bel film di Roberto Andò, quella al centro del debutto da cine-regista di Beppe Fiorello, attore e fratello minore.. Il titolo, “Stranizza d’amuri”, è preso da una lirica e densa canzone di Franco Battiato risalente al 1979, ma lì si parlava della Seconda guerra mondiale, mentre qui ci si ispira, per reinventarla, a una truce vicenda successa il 31 ottobre del 1980. Sotto un pino marittimo, nella Vigna del Principe, a Giarre, furono ritrovati i corpi del venticinquenne Giorgio Agatino Giammona e del quindicenne Antonio Galatola, detto Toni: mano nella mano, entrambi uccisi con un colpo di pistola. Erano omosessuali, si volevano bene, ma per tutti erano “gli ziti di Giarre”, i fidanzatini irrisi, e la differenza d’età probabilmente armò la mano di qualcuno (all’inizio si parlò addirittura di suicidio incrociato).
Nelle sale da giovedì 23 marzo, targato Bim, producono Fenix Entertainment e Ibla Film, “Stranizza d’amuri” dura troppo, quasi 130 minuti, e non si capisce bene perché; ma custodisce un cuore gentile e insieme minaccioso, come se questa storia tragica, all’apparenza tipicamente “siciliana”, abbia rappresentata per il regista una sorta di ossessione.
Fiorello sposta due anni avanti la vicenda: al 1982, nelle settimane estive che anticipano la finale dei Mondiali vinta dall’Italia sulla Germania per 3 a 1. Ma adesso sono quasi coetanei i due giovani che scoprono di amarsi in un generico paesino della Sicilia dalle parti di Pachino.
Il diciassettenne Gianni, reduce dal riformatorio, lavora come meccanico di motorini nell’officina dell’uomo che lo ospita in casa insieme alla madre; vorrebbe essere solo lasciato in pace ma quelli del bar Mocambo lo bullizzano e sfottono pesantemente, dandogli del “puppu”, sulla base di una maliziosa confidenza diffusa da una ragazza, il cui fidanzato però sembra sessualmente attratto dall’adolescente, vergognandosene.
Il sedicenne Nino, gran testa riccioluta e ciclomotore “Ciao” appena ricevuto in regalo, invece ha una famiglia coesa, amorosa, chiassosa, e le cose andrebbero bene sul piano economico se il padre, nel ramo fuochi artificiali, non accusasse una tosse sempre più insistente, dolorosa.
Il caso li fa incontrare, anzi scontrare, sui rispettivi ciclomotori, in una strada di campagna polverosa; e da quell’incidente nascerà un’amicizia fervida, un riconoscersi a vicenda, infine un legame affettuoso. Il resto lo potete immaginare: pregiudizi, virilismi, telefonate, allusioni, anche botte per strada…
Non so se Beppe Fiorello abbia visto “Estate ‘85” di François Ozon, che racconta una storia simile ambientata in quegli anni, ma in Normandia. Certo la Sicilia assolata e torpida, in canottiera, ricorda a tratti la Matera dei “Basilischi” di Lina Wertmüller: è vista dal film come una terra ipocrita, pronta a esplodere a causa dello “scandalo” offerto da quei due adolescenti decisi, in sottofinale, a non nascondersi più. La morte dei veri Giammona e Galatola squarciò il velo del silenzio imbarazzato, contribuendo a far nascere il primo circolo Arcigay in Sicilia.
Sul piano stilistico Fiorello ha mano felice specie nella prima parte, quando non abbonda in canzoni e colonna sonora, preferendo immergere nel silenzio i dialoghi, le situazioni, una certa logica ferina del contesto rurale, a un passo dalla cava che dà lavoro a tanti. Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro sono Gianni e Nino, freschi e ribelli, quindi destinati a scontrarsi con l’ambiente circostante. Simona Malato e Fabrizia Sacchi incarnano le rispettive madri, ma tutto il cast è ben scelto, e il siciliano parlato risulta vero, o verosimile, non alla maniera di Montalbano.
Michele Anselmi