Evelyn (Michelle Yeoh) è un’immigrata cinese proprietaria di una lavanderia a gettoni insieme al marito Waymond. Lei si dà un gran da fare, ma la sua vita è costellata di problemi, dalla ribellione della figlia Joy (Stephanie Hsu) alla demenza senile di suo padre, dal marito svampito che non le è affatto d’aiuto all’impiegata del fisco che non le dà un attimo di tregua interpretata da Jamie Lee Curtis.
Evelyn prova a prendere tempo sperando in una soluzione divina e proprio mentre pensa che sia tutto perduto, la sua routine quotidiana viene bruscamente interrotta dalla scoperta di un mondo parallelo nel quale viene scaraventata d’improvviso.
Sebbene impaurita, Evelyn sceglie di tuffarsi nel vuoto come ultimo disperato tentativo di fuggire da quello che le spetta, vive così altre vite che si sovrappongono l’una all’altra, nelle quali i suoi sogni più reconditi prendono forma e lasciano spazio a una nuova versione di sé stessa e delle persone che ama.
La protagonista ha la possibilità di uscire dai suoi panni e vestirne di nuovi, ma non senza assumersene la responsabilità perché la morale è che anche se la realtà intorno a noi cambia, una scelta è sempre dovuta.
Come in un continuo sliding doors multiuniverso, “Everything Everyhere All at Once” è un sovrapporsi di storie fantastiche in cui Evelyn diventa un’eroina che ha la missione di sconfiggere i nemici cosa che, di contro, non riesce a fare nella vita reale.
Non è un caso che tutta la messa in scena sia ambientata in un imponente palazzo del fisco, simbolo di burocrazia e lentezza in contrapposizione ad un montaggio frenetico e totalizzante con cui i registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert vogliono ancora una volta uscire fuori dalle righe.
In questa loro seconda fatica non si risparmiano, alternando il registro da drammatico a comico fino ad arrivare al grottesco per dare vita una storia a metà tra fantasia e fantascienza.
Senz’altro questa opera ha un’impronta originale e non solo per la trama, ma anche per come si dipana tra presente, passato e futuro in un andirivieni che dà il capogiro, a volte fa ridere e altre volte fa piangere.
Forse era questo l’intento? Creare confusione? Bisognerebbe allora riflettere se lo spettatore è abbastanza maturo per capirlo e, di conseguenza, accettarlo, senza ritenerlo eccessivo.
Stefania Scianni