L’angolo di Michele Anselmi

“Omicidio a Easttown” è un titolo italiano piuttosto impreciso. Per accorgersene basta seguire le prime due puntate della nuova serie Hbo che danno su Sky Atlantic dal 9 giugno. Era più suggestivo quello originale, “Mare of Easttown”, tutto costruito sul nome della protagonista, appunto Mare Sheehan, una poliziotta ultraquarantenne dalla vita alquanto incasinata. Come forse sapete è Kate Winslet, pure coproduttrice, a incarnare la detective che a prima vista somiglia a tante altre viste di recente in questo tipo di crime-story a episodi.
Siamo appunto a Easttown, una cittadina rurale della Pennsylvania, lambita da boschi e montagne, dove naturalmente c’è del marcio sotto la crosta rassicurante, neanche tanto sotto, in verità. La donna ha un nipotino di 4 anni al quale badare (scopriremo strada facendo perché), una figlia adolescente lesbica, un ex marito che sta per risposarsi, una madre ad alto tasso alcolico che s’è trasferita a casa sua; e, come se non bastasse, deve misurarsi con due casi da togliere il sonno: una ragazza scomparsa da un anno senza lasciare tracce e un’altra appena trovata ammazzata sulle rive di un fiume, seminuda.
“Omicidio a Easttown” dura 405 minuti, divisi in sette puntate, l’ha scritta Brad Ingelsby, diretta Craig Zobel e certo fa piacere trovare il nome del nostro Lele Marchitelli alla voce “musiche”. La partenza, come spesso capita, è un po’ convenzionale e farraginosa, ma non ci vuole molto a capire che ogni episodio custodisce una sorpresona finale, e siamo solo all’inizio (purtroppo Sky non mette subito a disposizione tutti gli episodi come fa Netflix).
Un po’ sdrucita e ingrassata, senza trucco, i capelli con la ricrescita in vista, sempre incavolata col mondo dentro quel giaccone sformato, la poliziotta è uno stereotipo ambulante; ma ci pensa Kate Winslet, attrice eclettica e audace, protagonista di fiere prese di posizione contro la “plastificazione” chirurgica imposta da Hollywood, a riempire di un’umanità viva e pulsante quel cliché da cinema e tv. Con notevole scrupolo professionale s’è liberata dell’elegante accento britannico che le viene dai natali nel Berkshire per immergersi nel dialetto locale di quelle parti, pare si chiami “Delco” (Delaware County): non un’inezia o un virtuosismo, perché la parlata fa tutt’uno col personaggio, s’intende ruvido e sbrigativo, di donna “scorticata”, anche se non proprio insensibile alla corte di un gentile professore/scrittore con la faccia di Guy Pearce, stavolta, sembrerebbe, in una parte da “buono”.
Viene facile evocare “Twin Peaks”, magari ripensando a Laura Palmer, e certo il corredo degli eventi non inclina all’ottimismo in “Omicidio a Easttown”: tutti hanno qualcosa da nascondere, molti mentono o non parlano, sentimenti rabbiosi o indicibili gravitano attorno alla fine atroce di quella povera ragazza-madre. E tuttavia a me pare che il modello non sia David Lynch, tutto è molto più realistico nella serie creata da Ingelsby, meno misterioso, allusivo e cerebrale, in linea con gli standard della nuova serialità televisiva di stampo poliziesco, tra livido ed esistenziale.
Ciò detto, non mi sbilancio, ho visto solo due episodi, ma credo che ne vedremo delle belle nei prossimi.

Michele Anselmi