Gli anni Settanta | Il sogno inglese e la controcultura punk

 

Il termine inglese “punk” identifica una controcultura giovanile nata nel Regno Unito e diventata nel corso degli anni Settanta un movimento di portata globale. Intorno al 1975 cominciava sempre più a diffondersi il termine "punk" per indicare un nuovo fenomeno musicale underground, caratterizzato dai riff delle chitarre sporchi e dalle sonorità aggressive e provocatorie. Il capitolo d’esordio della scena musicale punk inglese è stato scritto da un giovane manager di nome Malcom McLaren e dalla sua compagna Vivienne Westwood, considerata la capofila della moda punk. Era il 1971 quando la Westwood aprì il suo negozio al 430 di Kings Road a Londra. La facciata del negozio venne verniciata di nero e le parole Let It Rock vennero scritte sull’insegna a caratteri rosa shocking. La boutique ha cambiato più volte nome a seconda dell’evoluzione stilistica della Westwood e del movimento punk: nel 1974 il negozio fu ribattezzato Sex, nel 1977 l’insegna fu modificata in Seditionaries fino al 1980 quando il punk aveva finito di fare scandalo e la Westwood cambiò nuovamente il nome in World’s End. Oggi in cima alla vetrina del negozio capeggia ancora il famoso orologio dalle lancette che girano al contrario.

A metà degli anni Settanta, tornato da New York, McLaren conosce due ragazzi scapestrati che si fanno chiamare Sid Vicius e Rotten, frequentatori abituali di “Sex”, e intuisce che l’Inghilterra è pronta per la rivoluzione musicale dei Sex Pistols, uno dei gruppi più irriverenti dell’infuocata stagione punk che con le loro provocazioni non solo hanno incarnato lo spirito del punk ma quando Rotten declamava “I am an anti-crist, I’m an anarchist” esprimeva  l’inquietudine e la rabbia di un’intera generazione; mentre oltre oceano, nella Est Coast, quattro ragazzi newyorkesi che passeranno alla storia come i fratelli Ramones, si esibiscono sul palco del CBGB’s. Spazzata via la stagione del "peace and love", con le sue utopie e le sue ipocrisie, ciò che contraddistingue la nuova generazione di ribelli da quella del decennio precedente è ancora una volta l’abbigliamento che deve esprimere tutta la carica eversiva dell’ideologia punk: materiali sintetici, colori acidi, abiti in lattice, anfibi,  jeans rigorosamente strappati e usurati, giubbotti di pelle rivestiti con applicazioni metalliche, accessori feticistici, cinture e borse ornate di borchie, cinghie di cuoio, catene, croci, occhiali neri, teste rasate su cui capeggiano creste dai colori fluorescenti,  tatuaggi e piercing di ogni genere. Le pop star come David Bowie ed Elton John non rinunciano a stivali con zeppe alte fino a quindici centimetri durante le loro performances. La stessa Westwood non si lascerà sfuggire l’occasione di realizzare un’intera collezione di scarpe-feticcio e stivali inguinali.

 

Le intellettuali minimal-chic del Greenwich Village di New York invece preferiscono agli aggressivi zatteroni i più sobri sandali Birkenstock. Se le donne degli anni Sessanta avevano alzato l’orlo della gonna sopra il ginocchio come segno d’indipendenza femminile quelle dei Settanta decidono di portare i pantaloni. Proprio come Diane Keaton nel film di Woody Allen “Io e Annie” (1977) che indossa abiti dal taglio maschile che ne esaltano la bellezza androgina. Gli anni Settanta hanno lasciato un segno inconfondibile nella storia della musica e della moda planetaria la cui portata è arrivata fino ai giorni nostri. Non a caso il vintage è tornato di moda e lo slogan "punk is not dead” suona sempre attuale!

Eleonora Di Mauro