L’angolo di Michele Anselmi

Il 16 aprile partirà su Netflix la terza stagione di “Fauda”, quindi, nel caso foste incuriositi, vi consiglio di usare questi dieci giorni per vedere i 24 episodi precedenti, a mo’ di ripasso. La serie viene da Israele, è stata ideata da Avi Issacharoff e Lior Raz, pure attore protagonista, con Assaf Bernstein stabilmente alla regia. Mi era sfuggita, confesso, non capendo bene che cosa fosse; grazie quindi a Cinzia Leone per avermela segnalata. Naturalmente per apprezzare “Fauda”, che in arabo significa “caos” e nel linguaggio militare israeliano indica il momento in cui una missione sotto copertura sta andando a puttane, bisogna custodire un certo interesse per l’irrisolvibile conflitto che contrappone ebrei e palestinesi in quelle sciagurate contrade.
Vero, non mancano i film sulla tribolata questione, ma “Fauda” sfodera una chiave non convenzionale; come ha scritto il critico Aldo Grasso, è “magnetica e spiazzante”, al tempo stesso “distaccata ed equidistante”. Il che non guasta, benché – e già immagino le contestazioni – il punto di vista sia quello israeliano, cioè di una piccola e coesa squadra di soldati, la cosiddetta “unità Duvdevan”, specializzata in azioni “undercover” nelle zone di Gaza e Cisgiordania. Le loro qualità? Padronanza assoluta della lingua araba, tratti somatici poco o per nulla semitici, sangue freddo e velocità d’azione, anche un certo fanatismo .
Lior Raz, classe 1971, viene da quelle forze speciali dell’esercito (il Mossad non c’entra), e incuriosisce che per qualche tempo, negli anni Novanta, abbia fatto la guardia del corpo di Arnold Schwarzenegger e signora. Un’esperienza umiliante, almeno a leggere le irriferibili parole di Raz. Il quale, basso, tarchiato e calvo, si allontana da una certa immagine cinematografica del guerriero impavido. E sta qui un’altra qualità espressiva della serie, onesta nel raccontare senza forzature ideologiche, dicendo pane al pane e vino al vino, la durezza della posta in gioco.
La prima stagione, che sto vedendo, è costruita sul ritorno nella squadra di Doron Kabilio, rifattosi una vita nel ramo del vino, Merlot e affini. Padre e marito, l’uomo però scalpita, non è quella la sua vita, e quando il suo ex comandante l’informa che il terrorista palestinese Taofiky Hamed, detto “La Pantera”, non è morto come si credeva, Doron vuole ad ogni costo completare il lavoro rimasto in sospeso. Pare che a un matrimonio si farà vivo, mascherato, il feroce bombarolo, responsabile della morte di 111 israeliani; tutto ricomincia da lì, e sarà l’inizio di una vicenda assai incasinata.
Codici militare, guai familiari, logiche di vendetta, ordigni trapiantati nei corpi, bar fatti saltare, blitz a Ramallah, preparazione fisica e tenuta psichica: “Fauda” esplora quella diuturna lotta tra i due contendenti storici con l’aria di non fare troppo la morale, per la serie vince chi colpisce prima e diretto. Naturalmente è girato correttamente in due lingue: ebraico e arabo (nella versione doppiata l’ebraico diventa italiano).

Michele Anselmi