Come un fulmine a ciel sereno, in piena quarantena, con tutte le sale cinematografiche chiuse e poche uscite realmente interessanti nel panorama della Nuova frontiera digitale, arriva su varie piattaforme di video on demand “Favolacce”, il secondo film diretto dai fratelli D’Innocenzo. I due cineasti romani decidono di ambientare un surreale affresco di storielle su famigliole disfunzionali in una provincia – Nepi – volontariamente resa anonima e dalla vaga collocazione, anche se Spinaceto e il mare non sono distanti.

Solo che nel mondo creato in questa co-produzione italo-svizzera si perde quell’aria da febbricitante delirio neorealista figlio del cinema garroniano che respirammo in “La terra dell’abbastanza”. Nel caso di “Favolacce”, piuttosto, ci immergiamo in un ‘acquario’ assurdo, dove si animano creature in cui non è rimasta più alcuna emozione o umanità. La prospettiva dall’alto o in campi lunghi, spesso di nascosto, ci rivela un mondo reso esplicitamente di finzione letteraria dalla stessa voce narrante, con i suoi personaggi corrucciati, amareggiati, talvolta esplicitamente laidi, che da marionette si aggirano ciondolanti come gli abitanti della casa del Grande fratello. Quando invece il racconto filmico decide di mostrarci da più vicino queste sue creature, le distorce e “mostrifica” tramite luci ed effetti particolari, in una sorta di neoespressionismo efficace. Perfetto il cast capitanato da Elio Germano e Barbara Chichiarelli, intenti ad interpretare i coniugi Placido, genitori di una coppia di figli strambi, che li portano all’esasperazione; meno lo è la sceneggiatura, vincitrice dell’Orso d’argento alla Berlinale 2020, ma scritta all’età di soli 19 anni. Lo si nota in particolar modo nella sua forzata conclusione.

Il racconto, curiosamente, più che una “favolaccia” sembra proprio un thriller/horror alla francese, che a tratti ricorda “Il villaggio dei dannati” e se non fosse per il dialetto dei suoi protagonisti – che sovente come nel primo film rischia di risultare, senza didascalie, incomprensibile ai non laziali – potrebbe essere ambientato in qualsiasi provincia. La forma estremamente corale ed episodica, surreale come già detto fino alla nausea, estrania e basta, rischiando di non risultare un’opera accessibile ad un largo pubblico. In questo, “Favolacce” si contrappone alla prima opera dei D’Innocenzo, confermando la loro voglia di rinnovarsi ed esser eversivi.

Furio Spinosi