Gambino, Genovese, Lucchese, Colombo, Bonanno. Cinque famiglie italiane. Cinque famiglie mafiose. Cinque famiglie detenevano il potere nella New York degli anni ’70 e ’80. Una rete indistruttibile, talmente ben strutturata da non riuscire a venirne a capo, si perché ben che vada l’FBI riusciva ad arrestare solo qualche soldato della famiglia, ma mai chi ne era il vertice. Paura, violenza, ricatto, droga, riciclaggio, investimenti e coordinazione, questi erano gli assi nella manica della mafia e questi i singoli fili di una tela impenetrabile che congiungeva chiunque fosse coinvolto nel giro.
New York, il simbolo del sogno americano, veniva definita la città della paura perché la mafia non aveva bisogno di conquistarla piuttosto era la stessa Grande Mela ad essersi prostrata ai piedi dei mafiosi, proprio come nelle processioni di paese le statue dei santi vengono prostrate davanti alle case dei boss. Milioni di abitanti tenuti in pugno da soli dieci palmi di mano, la cui forza era paragonabile a quella dei più grandi eroi dell’antica Grecia. “Fear City”, docu-serie Netflix disponibile dal 22 luglio 2020, ripercorre le tre tappe fondamentali che hanno portato l’FBI, gli avvocati e il Procuratore Rudolph Giuliani alla spasmodica ricerca di un nodo troppo debole da poter essere tenuto ancora legato. Scalare la vetta di una piramide così ben articolata non era affatto semplice perché spiegare come la mafia riuscisse a sfuggire alla legge era come spiegare ad un bambino le logiche di un sudoku: pressocché impossibile. “Fear City” è una sorta di ammissione di colpa da parte di quelle istituzioni che nulla potevano contro la mafia, nulla potevano contro ciò che non si conosceva e che aveva il vantaggio di avere una formazione stabile rispetto alle mille supposizione che gli agenti ponevano sulla bilancia. Scovare un soldato non equivaleva a raggiungere il boss, ma per arrivare alla cima era necessario partire dal basso con qualunque mezzo.
“Eravamo intoccabili, nessuno poteva fermarci, potevamo fare tutto quello che volevamo”, così afferma uno dei testimoni ed ex partecipanti al clan mafioso. Non è necessario parlare al plurale è sufficiente parlare di più parti che costituivano un unico organo solido a cui soccombere in virtù della fedeltà, dell’onore e dei patti di sangue: la Commissione. “Fear City” è una panoramica continua, un viaggio tra passato e presente, tra registrazioni telefoniche e strategie, tra immagini, filmati di archivio e testimonianze recenti di vittime, carnefici e uomini di legge. Ognuno di loro presenta i fatti da un punto di vista diverso, ognuno dà la propria versione dei fatti e fa emergere dettagli che forniscono una visione di insieme allo spettatore, ma, se un assioma non ha bisogno di essere dimostrato per essere definito vero, la mafia era l’assioma stesso: New York era una trappola per topi, ovunque si guardasse la mafia c’era e ogni sua parte era una fonte di petrolio a cielo aperto, che lo volesse o meno.
Cristina Quattrociocchi