L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
«Tutto il resto è noia / No, non ho detto gioia» cantano sguaiatamente i sostenitori di “Califano. L’ultimo concerto”, esibendo uno striscione di insulti, sotto lo sguardo allibito di Marco Müller, che ha appena preso a parlare nella Sala Petrassi dell’Auditorium. Un blitz in piena regola, anche se chi ha visto il film di Stefano Calvagna sul “Califfo” assicura che il nono Festival di Roma, 16-25 ottobre, ha fatto bene a rifiutarlo. Troppo brutto. Non è più bello, però, lo spettacolo che offre la politica, in questo caso di centrosinistra. Due assessori alla cultura, Lidia Ravera per la Regione Lazio e Giovanna Marinelli per il Comune capitolino, vanno al microfono addirittura prima del direttore, per dare la linea estetico/editoriale, plaudire alle novità, precisare, alludere, blandire, entrambi annunciando grandi rivoluzioni dopo quest’edizione «di transizione». Verso dove? Verso il decennale del 2015 che riporterà, sui manifesti, l’intestazione primigenia Festa del cinema, non più Festival. Per questo Müller parla già dall’anno scorso, con furbo neologismo, di “Festaval”.
Uno si chiede: perché un simile autogol da parte della politica? Perché la politica non cambia mai. Non a caso, la logica “proprietaria” è stata teorizzata da tutti quelli che hanno messo bocca e becco sulla kermesse quirite. Prima i fondatori Veltroni e Bettini, poi Alemanno e Polverini, ora Marino e Zingaretti. Invece di tenersi fuori, magari per decidere poi nelle segrete stanze come capita dappertutto, ecco presentarsi addirittura alla ribalta, quasi a ribadire: «Siamo noi gli sceriffi in città». Con la Mostra di Venezia non succede mai: quando c’è da presentare il programma, a fine luglio, parlano solo il presidente Baratta e il direttore Barbera. A Roma no, arrivano anche gli assessori sul palco, e fortuna che non c’è più la Provincia.
Müller, che certo è valoroso costruttore di festival, benché fregato egli stesso dalla politica dopo averla corteggiata, sembra rassegnato a chiudere il 31dicembre con l’esperienza romana, salvo miracoli. Lui è disponibile a proseguire. «Decideranno i politici» si fa sfuggire il presidente uscente Paolo Ferrari, mentre il direttore generale Lamberto Mancini spiega che, causa calo risorse pubbliche, il Festival vero e proprio costerà quest’anno «5-6 milioni di euro» rispetto ai 7 dell’anno scorso (5 o 6?). S’intende: il direttore sinologo che per otto anni ha diretto la Mostra di Venezia annuncia sterzate, inversioni di rotta, divaricazioni e grandi bellezze, abolisce le giurie classiche per far votare un po’ demagogicamente il pubblico; insomma mostra, specie ai politici che decideranno tra una manciata di mesi se confermarlo o no, di essersi mosso per tempo, di abbracciare la dimensione ludico-popolare, ramificata nella città, della rassegna che un tempo secondo lui era fatta con «gli scarti di Venezia» e ora non più.
Arriva, in sostegno della baracca, anche il ministro Franceschini: dall’anno prossimo, dopo congruo «riposizionamento strategico», cioè una volta mandato a casa l’attuale cda considerato di centrodestra e riscritto lo statuto ad hoc, il Mibact entrerà stabilmente nella fondazione Cinema per Roma attraverso il braccio armato Luce-Cinecittà. Intanto però i Beni culturali scuciono 1 milione di euro, sotto forma di non meglio definiti “progetti speciali”. Ma non si deve sapere.
E i film? Ce ne sono tantissimi, ripartiti nelle sezioni Cinema d’oggi, Fuori concorso, Gala, Mondo Genere e Prospettive Italia, più omaggi, mostre fotografiche e squisitezze cinefile. Magari saranno pure belli, anche se pochi sono in anteprima mondiale (ma poi che importa?). I tre titoli tricolori in gara sono “Biagio” di Pasquale Scimeca, “I milionari” di Alessandro Piva e “La foresta di ghiaccio” di Claudio Noce. Un po’ tutto il festival sarà nel segno della commedia: si apre con “Soap Opera” di Alessandro Genovesi e si chiude con “Andiamo a quel paese” di Ficarra e Picone. Premi vari a Tomas Milian, Walter Salles e Takashi Miike. Tra le star previste sul tappeto rosso, a parte gli italiani, Clive Owen, Rooney Mara, Richard Gere, Kevin Costner. Pure i redivivi Spandau Ballet. Largo ai giovani!
Michele Anselmi