Filosofie di Avatar. Immaginari, soggettività, politiche | Il libro

Si è svolto ieri nella bellissima cornice de La casa del cinema di Roma la presentazione del libro
 Filosofie di Avatar. Immaginari, soggettività, politiche (Mimesis Edizioni) a cura di Antonio Caronia e Antonio Tursi. Di Avatar, ne abbiamo ampiamente discusso  anche noi di Cinemonitor ma a distanza di mesi è un fenomeno cinematografico (e mediatico) che continua ad alimentare riflessioni e dibattiti, a produrre prodotti culturali come questi. E questo la dice lunga sulle tante critiche ricevute da più parti sul fatto che il film fosse solo un esercizio di stile in 3D e di regia immersiva. Di seguito un abstract dell’opera:
 
Avatar segna una rivoluzione nel cinema e nell’immaginario. Certo non inattesa, ma non per questo meno radicale. Le nuove tecniche 3D creano per lo spettatore situazioni di coinvolgimento e di immersione prima impensabili. Tutto il sistema di produzione e di distribuzione è stato sconvolto e ridisegnato dal film di Cameron. In questo nuovo intreccio fra immaginario, tecnica e produzione, il cinema si riconferma snodo centrale dell’industria culturale – e quindi anche indice, sintomo e forza propulsiva di qualcosa che va al di là di essa. Dietro e a lato delle ingenuità e delle semplificazioni del film, Avatar solleva temi e problemi di ordine filosofico, sociale e politico su cui riflettere è urgente e necessario. Una prima proposta di riflessione è contenuta in questo libro, a opera di una pattuglia (composita ma non estemporanea) di studiosi di differenti generazioni e di diverse estrazioni. Che cosa riprende e che cosa supera, il film, della tradizione dell’immaginario cinematografico? Come presenta e come ridisegna i problemi dell’immaginazione ecologica del pianeta? Che modelli di agire politico e di organizzazione sociale mette a confronto? Ma uno dei nodi centrali di Avatar, uno dei suoi aspetti più inquietanti e affascinanti, è forse il fatto che ci propone una storia di transizioni, di ibridazioni fra umano e non umano, che ci parla della necessità di attraversare una soglia costantemente mobile e instabile in cui la nostra identità vacilla ma non si perde, è sfidata ma al tempo stesso esaltata. Con Avatar stiamo forse entrando davvero nell’era del postumano.
Il dibattito è stato alimentato dagli interventi di testimoni privilegiati quali Jaime D’Alessandro     (giornalista di Repubblica e XL,esperto di videogames), Carlo Freccero (direttore di Rai4), Enrico Ghezzi ( di cui purtroppo non è pervenuta notizia) e i curatori del libro Antonio Tursi e Antonio Caronia.
 
Il libro raccoglie la soggettività di 16 studiosi stranieri e non sul film di Cameron, le riflessioni scaturite dalla visione di un’esperienza immersiva così innovativa e viscerale,le implicazioni inevitabilmente mediatiche e antropologiche che l’opera chiama in causa,la natura di uno spettatore in continua evoluzione. Dal dibattito sono emersi spunti interessanti, secondo Jaime D’alessandro infatti: “Avatar grazie al suo imponente dispiegamento di mezzi tecnologici, ha permesso – già durante le riprese – una strutturazione in tempo reale degli ambienti che poi sarebbero stati ricostruiti in digitale raccogliendo e immagazinando informazioni preziose su luci, ombre, tempi narrativi. La storia raccontata passa in secondo piano per lasciare spazio all’esperienza post-moderna scaturita da un bisogno crescente degli individui di essere parte delle sequenze d’azione, ecco perché i videogiochi hanno cosi successo. E’ riscontrabile un rapporto sintomatico tra Avatar e videogiochi”
Importante anche il contributo di Antonio Caronia e Antonio Tursi: “Avatar è un film del divenire, tutto è in costante movimento, gli attori, la natura, l’evoluzione è il punto di vista privilegiato dell’autore che viene sovrapposto a quello dello spett-attore.” Questa prospettiva sarebbe dunque la risposta all’eterna diatriba che vuole stabilire in via definitiva se il cinema sia opera d’arte o industria. Se quest’ultima rappresenta anche solo una componente, seppur non dominante, del cinema non si comprende allora come non si possa tener conto del fatto che il cinema è obbligato a sperimentare nuovi linguaggi,forme d’espressione, in una parola osare. Deve farlo non tanto per autolegittimazione ma proprio perché in questo senso lo spettatore si sta evolvendo e già da un bel po’. L’epoca contemporanea, post-moderna, implica una continua e crescente esposizione a innumerevoli stimoli sensoriali e device che ci affascinano e ci dirottano verso una comunicazione e un’interattività sconosciuta agli anni passati. In sostanza viaggiamo sempre più verso bisogni  e mondi esperenziali in grado di soddisfare i nostri sensi, la nostra fantasia e bisogno d’evasione. Avatar lo fa in modo paradossale: ci mostra la natura come dovrebbe essere ma come non lo è più.
A tal proposito D’alessandro parla della familiarità dello spaesamento, nel film vediamo cose che ci sono già familiari in natura ma tutto ci appare velato di una nostalgia romantica.


Francesco Sarubbo