Millennium: uomini che odiano le donne  | …e spettatori che faticano ad orientarsi

La morale del singolo e la condizione individuale del cittadino nella società contemporanea. Larsson come romanziere e Fincher come regista non sono estranei all’analisi di simili questioni, entrambi hanno indagato a lungo sull’ambiguo territorio dell’inquietudine, muovendosi su binari paralleli che oggi vediamo incontrarsi in un solo punto. Avviene con la resa di un prodotto audiovisivo che prende ispirazione dalla penna di questo scrittore e giornalista svedese morto in età prematura. I romanzi di Larsson, pubblicati postumi negli anni tra il 2005 e il 2007 nel Paese d’origine, sono espatriati soltanto a partire da quest’ultima data. Dopo una presunta diatriba legale tra il padre e la compagna dell’autore, la sua eredità fu trasmessa al resto dei paesi europei (la Francia in prima linea) sull’onda del successo del terzo volume: la traduzione delle opere ne garantì una diffusione su larga scala, al punto che le cifre delle copie vendute negli ultimi anni si aggira intorno ai trenta milioni.

La natura “cinematografica” insita al linguaggio di Larsson lasciava intendere che il suo non sarebbe rimasto a lungo un fenomeno “a due dimensioni”: il 2009 segnò così la prima trasposizione del libro per lo schermo, con la regia danese di Niels Arden Opley, dove il volto del giornalista Michael Blomqvist apparteneva all’attore Michael Nykvist e il ruolo della controversa Lisbeth Salander si affidava all’interpretazione di Noomi Rapace. Non sarà passato troppo poco tempo da questa versione, per un’uscita “incondizionata” del prossimo adattamento? Il nuovo “Millennium” di Fincher sembra non aver paura di confronti, forse per merito della presenza di un protagonista di fama internazionale come Daniel Craig o forse perché il regista è avvezzo alle sfide.

Resta il fatto che ancora una volta non sono passati più di due anni per “il bis”, come già nel caso di “Blood story” (Matt Reeves, 2010), il remake americano dell’originario horror svedese di Tomas Alfredson dal titolo “Lasciami entrare”, film pluripremiato nel 2008 che ha subito una riuscita ricontestualizzazione statunitense. Focalizziamo ancora l’attenzione sul luogo di congiunzione Larrson/Fincher: introdotto da “Immigrant song” dei Led Zeppelin, il nuovo “Millennium” avrebbe potuto puntare proprio sull’originalità, verso la resa di un’insolita rappresentazione del primo episodio della trilogia o verso l’esaltazione di una cifra stilistica imprevedibile per un lavoro che fino a questo momento non aveva mai vissuto fuori dall’ordinario contesto scandinavo, ma forse uscire da un’ambientazione così caratterizzante sarebbe stato troppo rischioso: il regista di “Seven” e “Zodiac” ha scelto perciò di non eliminare dal piano visivo e narrativo la concretezza dei gelidi scenari di ghiaccio, ma l’astrazione e l’indeterminato non sono forse l’unica chiave possibile per rivelare il significato profondo e “rovesciato” di qualsiasi indagine? Il termine sembra rispecchiare non soltanto l’atteggiamento di un creatore nei confronti della materia, ma riporta alla mente l’esistenza di un preciso plot, un filo rosso sotterraneo alla configurazione plastica della scena, ma che risulta tutt’altro che marginale sul piano della letterarietà dell’opera, soprattutto se si pensa alle differenze apportate qui dallo sceneggiatore Steven Zaillian.

Ricordando che “Millennium” non è altro che il nome della rivista specializzata appunto in inchieste su grandi scandali sociali ed economici – attorno a cui ruotano le azioni dei personaggi coinvolti nella risoluzione dell’enigma –  scopriamo che nel film di Fincher non sussiste alcuna relazione fisica tra Blomkvist e Cecilia Vanger, per il fatto che Zailian ha ritenuto dissonante tale elemento, presente invece nel libro. La ragione di tale cambiamento consiste nel fatto che il giornalista non aveva nulla a che vedere con il personaggio di Warren Beatty in “Shampoo”, figura che aveva ossessionato lo sceneggiatore durante la lettura del libro come un fantasma da cui fuggire: un’altra modifica rilevante risiede nel finale del film, momento di unificazione dei due filoni narrativi. Ancora una volta Zaillian dichiara di aver cercato la soluzione più coerente perché leggendo il libro aveva trovato poco logico che la soluzione emergesse così “lontana” dal mistero: forse è vero che quando gli spettatori si trovano a seguire sullo schermo dei personaggi tanto fuori dalle regole, si aspettano almeno che il caso di omicidio in oggetto venga risolto nel modo meno artificioso possibile. 

Ilaria Abate