L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “il Secolo XIX”
La provocazione è venuta da Facebook. «Ma quando dite in tono di critica che un regista è “furbo”, cosa intendete esattamente? Che vi piacciono solo i registi tonti?» ha chiesto, per scherzo ma non troppo, Francesco Bruni. Livornese, 54 anni, Bruni è collaboratore storico di Paolo Virzì, sceneggiatore del Montalbano tv, autore in proprio di tre film, “Scialla!”, “Noi 4” e l’ancora inedito “Tutto quello che vuoi”, in predicato per Venezia, coprotagonista il genovese Giuliano Montaldo. Sembrava un pretesto da social per pochi, invece hanno risposto a centinaia: gente del ramo, cioè sceneggiatori, produttori, critici, registi, ma anche spettatori qualificati o semplicemente incuriositi.
In effetti, il tema è sentito. Il cinema italiano ogni anno muore a maggio e risorge, se va bene, a ottobre-novembre; ma in generale, a parte il fuoriclasse “Quo vado?” coi suoi 65 milioni e passa di euro al botteghino, sono ormai rari i film, pure di commedia, che superano i 10 milioni di incasso. In questi primi sei mesi del 2016 l’unico miracolato è stato “Perfetti sconosciuti”, a quota 17. Anche “La pazza gioia” di Virzì, dopo il debutto trionfale a Cannes, s’è fermato attorno ai 3 milioni e 300 mila euro, nonostante il passaparola positivo e le critiche entusiastiche.
Insomma, non si più bene che film fare. O per lo meno è molto difficile scegliere. Per un’opera prima come “Lo chiamavano Jeeg Robot” che irrompe nella mischia e spariglia i giochi, mutandosi in fenomeno alla moda e pure di botteghino, sono tanti a soccombere, da “Pericle il Nero” a “Fiore”, passando per l’ambizioso “Le confessioni” e il corrivo “Nemiche per la pelle”.
Ecco perché il dibattito avviato da Bruni, al di là del tono ilare, coglie nel segno. Bisogna essere furbi per piacere al grande pubblico? La furbizia programmatica paga davvero o è una pia illusione? «Il pubblico lo devi infinocchiare (senza ammiccamenti): sostanzialmente, gli devi fare scordare di stare assistendo ad una finzione. Se non è infinocchiare questo…» ribatte proprio Bruni. Aggiunge: «De Sica faceva piangere i bambini-attori per ottenere commozione dal pubblico: era furbo, per fortuna».
Scorriamo alcune delle opinioni. La sceneggiatrice Maruska Albertazzi: «Sai le volte che guardo un film e anticipo metà della sceneggiatura nella mia testa? Ovvio, sono allenata. Ma non mi godo un cavolo, così. Un film andrebbe guardato con occhi di bambino, poi se proprio devi fargli le pulci puoi sempre andare una seconda volta». Un altro sceneggiatore, Fabio Bonifacci: «Statisticamente chi dice spesso “quel regista è furbo” è uno/a che usa parecchio la furbizia nei suoi rapporti col mondo. Chi la usa tanto, la vede ovunque. In sintesi: piace la furbizia “furba”, che non si fa sgamare».
E ancora. La critica e giornalista Paola Jacobbi: «Trovo massimo esempio di furbizia “Perfetti sconosciuti”. Spinge il pubblico a identificarsi e ne legittima (assolve) l’ipocrisia dei comportamenti. Furbo è quanto creato a tavolino per tv. Furbi sono certi vezzi retorici di alcuni pur grandi autori. Furbi sono i colpi bassi di registi pop che sanno come indurre facile lacrima o facile risata». Il produttore Alessandro Usai: «Il regista furbo è quello che strizza l’occhio ad un pubblico (qualunque esso sia), invece di fottersene, come si addice al puro. Resta da chiarire se quest’ultimo, appunto in quanto opposto al furbo, non vada chiamato scemo».
Vai a sapere chi ha ragione. Di sicuro Bruni è onesto quando ammette: « Tutti i registi bravi sono furbi, ciascuno a modo suo, perché giustamente fanno fruttare al meglio quello che hanno, e nascondono le magagne. Se ci riescono, buon per loro. Propongo un cambio con “disonesto”».
E qui il discorso si farebbe assai delicato, meglio rinviarlo: con buona pace dei “furbetti del cinemino”, per dirla con Federico Gironi, sempre su Facebook.
Michele Anselmi