L’angolo di Michele Anselmi
Il suo tormentone è: “That’s it, that’s all”, che viene tradotto con “Così e così resta”, insomma discorso chiuso, come dicono a volte i genitori ai figli che frignano e fanno i capricci. Ma in questo caso trattasi di Arnold Schwarzenegger, papà sui generis che da una vita fa l’agente speciale della Cia, sul campo, insomma una specie di killer, fingendosi commerciante di attrezzi da palestra, ramo pesi. Quando perde la pazienza Luke Brenner sfodera quella locuzione imperativa, senza immaginare che anche la figlia Emma fa il suo stesso mestiere per la Cia, sempre senza dirlo in famiglia. Quando i due si ritroveranno l’uno di fronte all’altra, in una missione rischiosa, la sorpresa lascerà il campo a una riluttante collaborazione armata.
M’aspettavo di meglio da “FUBAR”, l’acronimo sta per “Fucked Up Beyond All Repair/Recognition”, pare risalga al gergo militare della Seconda guerra mondiale. È il titolo di una miniserie in 8 episodi, di circa 45 minuti l’uno, che danno su Netflix dal 25 maggio. Siamo in zona action/comedy, un ibrido che funzionò all’epoca di “True Lies” di James Cameron, al quale deve essersi un po’ ispirato lo sceneggiatore Nick Santora. Solo che oggi “Schwarzy” ha 75 anni, benché se ne tolga dieci per risultare a un passo dalla pensione; mentre al posto della moglie, allora incarnata dalla bombastica Jamie Lee Curtis, c’è la trentaduenne Monica Barbaro, la quale a sua volta deve passare per una ventottenne e ci riesce bene col fisico che si ritrova.
Ho visto tre puntate su otto, incuriosito da un’intervista con l’ex Conan il Barbaro pubblicata da “7” e da un post su Fb dell’amico Alberto Pasquale. Quindi potrei sbagliarmi, ma la ricetta è chiara: molte schermaglie tra padre e figlia, per le bugie reciproche prolungate nel tempo; un temibile “cattivo” di nome Boro che compra e rivende ordigni nucleari “sporchi” al miglior offerente; una squadra fidata di collaboratori, s’intende ci sono anche un afroamericano e una lesbica, alla maniera di “Mission: Impossibile”.
Si vede che Schwarzenegger s’è divertito
a girare, ormai il cinema non lo vuole più, sicché la serialità in streaming ha assunto anche per lui un ruolo salvifico. Ma mentre l’amico Sylvester Stallone in “Tulsa King” indossa esattamente la propria età e fa centro, l’ex Maciste austriaco, che fu governatore repubblicano della California, replica con qualche lentezza e tante controfigure le antiche gesta di un “Terminator” diventato buono.
Capelli tinti di marrone, barbetta sale e pepe, fisico sempre espanso, forse pure un po’ bolso, “Sympathy for the Devil” dei Rolling Stones nella sequenza iniziale, Schwarzenegger non si sforza di recitare, gli basta portare sé stesso sul set, mostrandosi più fragile e premuroso di un tempo, ma sempre capace di mirare dritto e di spaccare ossa, dentro una specie di sit-com familiare, tra citazioni burlone e allusioni sessuali (lui vuole riconquistare la moglie che ora s’accompagna a un fesso pieno di Viagra e pure adultero).
Ogni puntata, secondo la moda, termina con un “cliffhanger”, cioè con una sorpresa che dovrebbe invogliare ad andare avanti per sapere cosa succederà. “La Cia distrugge le relazioni” recita una battuta, nel senso degli amori. Ma vedrete che, alla resa dei conti, padre e figlia finiranno col conoscersi davvero, più di quanto abbiano fatto in passato. Purtroppo tutto suona un po’ loffio, stiracchiato.
Lei, Monica Barbaro, ovviamente di origini italiane, è spiritosa e sexy, si vede che ha imparato bene a sparare e a picchiare. Ma sono più curioso di vederla nei panni di Joan Baez, accanto a Timothée Chalamet, nel film di James Mangold “Complete Unknown” che racconterà la famosa svolta elettrica di Bob Dylan, anno 1965.
Michele Anselmi