Pubblichiamo la versione integrale dell`articolo di Roberto Faenza – uscito su “Il Fatto Quotidiano” di mercoledì 30 giugno – sul Gay Pride di New York di domenica scorsa. Una manifestazione di portata epocale, come nota il nostro direttore, che dalla sua stanza su Washington Square scende in piazza per documentare la più gremita, vivace e battagliera dimostrazione di orgoglio gay del mondo.

Il Gay Pride di New York | Un film in presa diretta

Credo di non sbagliare se scrivo che domenica 27 giugno a New York c’è stata la più grande manifestazione di Gay Pride della storia. Anche qui le cifre variano a seconda delle fonti. Se penso al confronto con la manifestazione sindacale al Circo Massimo di qualche anno fa con Cofferati, quando si parlava di oltre 3 milioni, allora qui non sono stati di meno. Una fiumana di gente ha iniziato a manifestare già sabato con un “assaggio” di sfilata di sole formazioni lesbiche. All’alba di domenica la parata già occupava gran parte della Fifth Avenue, per poi straripare sino al pomeriggio. Le finestre della stanza dove dormo danno su Washington Square, la piazza dove termina la Fifth: qui nessuno è riuscito a dormire per due giorni. Già venerdì notte la piazza è stata invasa da bande e suonatori, la maggior parte a mollo nella fontana di fronte all’arcata, con maschi e femmine che trascinavano i loro partner nell’acqua, evocando la scena della Dolce Vita, quando Anita Ekberg trascina Marcello Mastroianni nella fontana di Trevi.. La città di New York non ha mai visto niente di simile, tanta era la folla dei partecipanti. Non solo quelli della parata, ma soprattutto gli altri, i cittadini assiepati ai bordi delle strade, stregati da uno spettacolo indescrivibile. Una specie di film fatto di migliaia di inquadrature mai viste prima d’ora, che scorrono davanti agli occhi degli spettatori e li ammaliano. Un gigantesco spettacolo offerto dal vivo, senza pagare biglietto. Al confronto persino i carnevali di Rio o di Bahia sembrano roba da dilettanti, perché qui è la composizione multi razziale, multi generazionale e multi sessuale a dominare la scena. Sfilano uomini e donne di ogni età, inclusi alcuni invalidi spinti in carrozzella. E’ impressionante il numero di bambini e ragazzini che accompagnano i loro genitori, ballando e gridando slogan verso il pubblico che applaude. Mentre la parata avanza sale la temperatura, probabilmente è la giornata più calda dell’anno: il termometro segna 45 gradi, ma nessuno ci fa caso. Non tutti i partecipanti sono gay, moltissimi sono amici o semplici cittadini che sfilano per dimostrare la loro solidarietà Sui carri sfilano anche attori e cantanti, come il cast della serie televisiva Real Housewives of New York, impegnato a marcare la differenza con le più note housewives disperate. Il primo striscione che mi viene incontro è provocatorio: “Cristo era gay e il Papa lo rinnega”. Segue un secondo striscione non meno radicale: “Gli apostoli lo erano e i preti li tradiscono”. Nella sfilata che si perde all’orizzonte ci sono molti striscioni che citano i nomi dei politici che si oppongono alla causa gay, come di altri che invece hanno fatto outing pubblicamente, soprattutto donne, parlamentari, giudici della Corte suprema e governatori. Di striscioni che riguardano il presidente Obama ne vedo solo uno. Dice che se Obama non è gay potrebbe sempre diventarlo e allora sarebbe non solo il primo presidente nero, ma con un valore aggiunto. E’ soprattutto una parata in nome della libertà, che è l’ideale di cui va più fiero il popolo americano. Gli striscioni, i manifesti, gli slogan e le scritte potrebbero riempire un intero trattato di antropologia culturale, tanto sono significativi. Domina la musica, soprattutto afroamericana e latina. La fanno da padrone i fischietti, i lanci di bustine con dentro preservativi, come pure collanine colorate offerte alla folla. Molti distribuiscono i loro biglietti da visita con tanto di foto, numero di telefono e indirizzo mail. Passa un carro funebre seguito da giovani vestiti di nero a ricordare i morti di Aids. Sfila una gigantografia di due uomini in abito da cerimonia appena sposati in Canada, con la data del matrimonio. Uno dei due è identico al nostro giornalista economico Oscar Giannino. Stesse basette lunghe, stessa barbetta, stesso bastone da dandy. Che sia davvero Giannino, riparato in Canada? Ecco uno striscione che grida: “Siamo tutti gay. In 29 stati puoi essere licenziato se lo dichiari”. E’ vastissimo il numero di striscioni delle chiese che aderiscono. Ne cito qualcuna: la Presbytarian Church of New York, la Metropolitan Community Church, la Riverside Church, la New Seminar Church, la United Church of Christ. Nessuna è cattolica. Sul carro di una parrocchia afroamericana si esibiscono i ministri: cantano e pregano il Signore perché dia a tutti “freedom and liberty”. “God made us queer”, dice uno striscione. E un altro cita Isaia del salmo 61: “God has sent me to proclame liberty”. Molte industrie, non poche banche e numerose marche di moda sfilano a fianco dei manifestanti, o perché davvero in sintonia o più probabilmente per farsi pubblicità in una giornata che passerà alla storia. Ho la sensazione che a sfilare sia più la gente di colore dei bianchi. Neri, asiatici, latinoamericani e africani sono i più visibili e le loro performance più spettacolari. Un carro di musicisti colombiani domina la scena con i loro strumenti a fiato. Un altro, di congolesi, lancia slogan contro le dittature che affliggono l’Africa. Passa un carro di pellirosse a ricordare che un tempo questa terra era loro. Poi è la volta dei travestiti da antichi egizi, con Cleopatra drag queen. In un carro si esibiscono gli imitatori dei Blues Brothers. Né può mancare Michael Jackson, con un carro di ragazzini col volto da lupo che cantano Thriller, ricordando il loro mito. Proprio in questi giorni è un anno dalla sua morte. Sfilano migliaia di carri variopinti, chi al ritmo del reggae, chi del samba, chi intonando una canzone di Otis Redding, chi esibendosi in danze popolari. Ai lati della strada la gente si accalca sui marciapiedi e batte le mani quando passano i veterani gay delle varie guerre, dal Vietnam all’Iraq. Ballano insieme a un corpo vestito da marines armato sino ai denti, pronti a far parte dello show. Sfilano anche molte scuole elementari e medie, vari licei, numerose università, tutte con i loro loghi, i loro cappelli e le immancabili majorettes. Ecco una squadra di basket al completo. Sfila la Team Volley Ball con la maglia azzurra. Una di football americano lancia palloni in aria. Si fa largo una comunità di culturisti in slip che esibiscono muscoli e bicipiti extra size. Seguono alcune bande di sole ragazze arrabbiate, vestite di heavy metal. In mezzo non mancano uomini e donne seminudi, molti transgender orgogliosi. Armati di fischietti, microfoni e altoparlanti, ognuno ha qualcosa da comunicare. Molti carri si fermano qualche minuto, scendono i protagonisti, si mettono in posa per la gioia degli spettatori davanti alle loro macchine fotografiche e ai mille telefonini, quindi ripartono lanciando in aria un pallone d’argento con scritto sopra ”Freedom for lesbian, transgender and bisexual people”. Passa una fila di cagnolini, gatti e altri animali tutti avvolti nelle bandiere colorate della nazione gay, condotti al guinzaglio o in braccio ai loro padroni. Vedo anche degli scoiattoli. Poi sfilano i club metropolitani con in testa l’Atlantis. Cantano tutti insieme: “I know you want me” e ancora: “Let’s plant the world”. Sfila un orso gigantesco con un cartello al collo: “Me too I’m gay” e tutti ridono. Passa un gruppo di dimostranti contrario alla circoncisione: “Say not to infant circoncision!”. Viene agitato un manifesto: ”Circumci$$$$ion, an act against nature”. Sotto il simbolo dei dollari, la foto di un bambino sanguinante davanti a un rabbino. Sfila un carro di donne e uomini con seni e sessi coperti solo da frutti e verdure, tali e quali ai quadri di Arcimboldo. Un gruppo agita uno striscione e se la prende con la polizia: “Fight Police Bestiality”. Passa davanti a una camionetta di poliziotti e questi anziché offendersi applaudono. In definitiva questo gigantesco cocktail di uomini, donne e bambini che si mischiano al popolo gay sta a evidenziare come la sua causa sia ormai intimamente collegata e integrata alle tante rivendicazioni che agitano il mondo intero e non solo New York, né solo l’America. Alle 17 in punto, come per magia, la parata si dissolve e la folla si disperde. Per le strade cade il silenzio, come quando al cinema si spengono le immagini e scorrono i titoli di coda. Un travestito con in spalla un pappagallo avvolto nella bandiera gay mi ha visto filmare con il cellulare. Si avvicina e sorride: “Ti sei divertito? Il prossimo anno saremo ancora di più”. La sera la città offre ai manifestanti una grande festa a base di fuochi di artificio. Dubito che i sindaci italiani, dalla Moratti ad Alemanno, saprebbero fare altrettanto.