L’angolo di Michele Anselmi
 
“La nostra linea editoriale è semplice. Il giornale prenderà per vero tutto ciò che è probabile”. E ancora: “Nel nome della malafede, del pettegolezzo e degli annunci pubblicitari, io ti battezzo… giornalista”. Non saprei dire se le due frasi che risuonano verso la fine di “Illusioni perdute” vengano direttamente dal romanzone omonimo di Honoré de Balzac o se siano frutto della cine-riscrittura di Xavier Giannoli e Jacques Fieschi. Propendo per la seconda ipotesi. Ma sintetizzano bene lo spirito del cine-affresco, in concorso alla scorsa Mostra del cinema di Venezia e purtroppo totalmente snobbato dalla giuria.
Trattasi di un gran bel film, all’apparenza classico e illustrativo; nella sostanza capace di suggerire variazioni sul tema, usando il torrenziale racconto balzacchiano, pubblicato in tre libri tra il 1837 e il 1843, per mettere a fuoco, parola del regista quasi cinquantenne, “la matrice del mondo moderno, il momento in cui un’intera civiltà era sul punto di cedere alla legge del profitto”. Direi che poi abbia ceduto largamente.
Si parla molto di giornalismo in “Illusioni perdute” e certo il mestiere che ho fatto per 42 anni, e in parte continuo a fare da pensionato senza più vincoli e condizionamenti, non ne esce tanto bene. Per niente, direi. “Ai vostri articoli, alle vostre bugie” brinda l’editore Dauriat, ignorante ma scaltro, il quale paga fino a 500 franchi una recensione che possa tornare utile agli affari, non importa se positiva o negativa (dipende dall’uso che se ne fa).
Siamo nella Parigi della seconda restaurazione post-napoleonica, dopo il 1830, quando alcune istanze liberali sembrano essere “sopportate” dalla monarchia costituzionale. Piccoli e agguerriti giornali d’opinione, come ad esempio “Le Corsaire – Satan”, diventano cruciali per imporre gusti, mode, libri, spettacoli, consumi, anche prodotti di bellezza: l’importante è far girare i soldi, sicché la polemica diventa l’arma più sofisticata, insinuante, redditizia.
Se ne accorge presto Lucien Chardon, giovane tipografo di provincia con ambizioni da poeta romantico, arrivato nella capitale da Angoulême, al seguito dell’amante, la baronessa Louise de Bargeton. Ma nei circoli aristocratici non è aria per lui, pure lei lo molla per non finire in disgrazia a causa della chiacchiera velenosa; così il bell’inurbato, fattosi scaltro dopo qualche figuraccia e riposti i versi amorosi nel cassetto, entra nel giro dei liberali, trasformandosi in un agguerrito e cinico pennivendolo (il termine è odioso, non lo uso mai, però ci sta).
Con la fama di stroncatore micidiale arrivano soldi, potere, abiti e case di lusso, anche l’amore sincero di un’attrice di strada, Coralie, la quale vorrebbe togliersi le calze rosse che l’hanno resa famosa e cimentarsi con la drammatica Bérénice del sommo Racine. Ma quanto può durare? Infatti non durerà: il crollo, anche delle illusioni, sarà devastante.
Nella commedia umana di Balzac aggiornata da Giannoli, almeno in alcuni riferimenti alla contemporaneità, come quei piccioni viaggiatori verso Londra che sembrano alludere al cinguettio social, nessuno si salva, se non forse le due donne, così diverse per origini e comportamenti, ma davvero innamorate di Lucien: appunto l’attrice del popolo e la baronessa triste.
Si respira un’aria da “fiera delle vanità” in questo cine-affresco impietoso e allusivo, dove ogni cosa appare in vendita, inclusi gli applausi o i fischi a teatro: il tutto condotto sul filo di una feroce lotta di classe tra nobiltà reazionaria e borghesia liberale (ma non ci sono buoni), benissimo recitato da uno stuolo d’attori nel quale primeggiano il protagonista Benjamin Voisin, Cécile de France, Salomé Dewaels, Xavier Dolan, Vincent Lacoste, Gérard Depardieu, Jean-François Stevenin, solo per dirne alcuni. Il film dura 144 minuti, non poco, ma credetemi: io non ho mai guardato l’orologio. Se lo trovate in francese coi sottotitoli è meglio.
Distribuisce I Wonder Pictures di Andrea Romeo: dal 23 dicembre scorso in cinque grandi città (Roma, Milano, Torino, Genova e Bologna), dal 30 dicembre in tutta Italia. Che Dio gliela mandi buona.
Michele Anselmi