L’angolo di Michele Anselmi

Mel Gibson certo non pratica la moderazione: ama scandalizzare e sorprendere, pensa in grande, passa per fanatico, talvolta non tiene a bada la lingua. Tuttavia mi pare un cineasta davvero speciale, pure visionario, una sorta di “barbaro devoto” che si diverte a sfidare le convenzioni hollywoodiane, a sbullonare i generi, a sbriciolare i pregiudizi. Prendete questo “Il professore e il pazzo” che il 63enne attore ha prodotto e interpretato, affidando stavolta la regia al fedele Farhad Safinia, suo collaboratore sin dai tempi di “Apocalypto” (appare sui titoli di testa con lo pseudonimo P. B. Shemran).
Una storia vera, desunta dall’omonimo libro dell’inglese Simon Winchester (Adelphi), che solo un eccentrico outsider come Gibson avrebbe potuto trasformare in film. Vi si narra, infatti, la nascita del titanico “Oxford English Dictionary”, dieci volumi alti così, la cui prima pubblicazione integrale risale al 1928. D’accordo, il nostro “Vocabolario degli Accademici della Crusca” fu pubblicato nel 1612, ma le due opere non sono confrontabili per ambizioni e ampiezza. Pensate: il linguista scozzese James Murray cominciò a lavorare alla gigantesca impresa nel 1857, e solo nel 1884 riuscì a pubblicare i primi fascicoli; morì nel 1915, quando il suo dizionario era arrivato alla parola “turndown”, che significa rifiuto.
Se Murray è “il professore” del titolo, benché gli accademici di Oxford non l’amassero affatto a causa delle sue origini proletarie e della sua enciclopedica erudizione, “il pazzo” è William Chester Minor, un ex ufficiale medico americano reduce dalla Guerra civile. Scappato in Gran Bretagna per sfuggire alle atroci visioni che lo perseguitano, l’uomo uccide per errore un uomo innocente e finisce, “sinché piacerà a Sua Maestà”, nel manicomio di Broadmoor. Due uomini destinati a non incontrarsi mai. Invece il caso li mette in contatto per via epistolare, e a quel punto, siamo attorno al 1875, Murray troverà nel geniale psicotico un aiuto inatteso all’elaborazione di molti voci del suo Dizionario.
Mel Gibson e Sean Penn incarnano i due personaggi, straordinari e ossessivi allo stesso tempo, entrambi barbuti, l’uno scozzese e l’altro americano, quindi estranei a una certa prosopopea oxoniana, ma capaci di sorreggersi a vicenda quando la monumentale opera rischiò di incagliarsi nelle secche dei primi scarsi risultati di vendita.
C’è una frase che racchiude il senso del film meglio di altre: “Ogni parola esistente diventa bellissima alla luce del suo significato”. La dice Murray, e Gibson è davvero bravo nell’incarnare questo acculturato figlio di un sarto, sensibile marito e affettuoso padre, per il quale “le parole lasciano tracce: basta solo risalire alla prima volta che sono state scritte”. Non è da meno Penn, sia pure nella caratterizzazione, più virtuosistica e scorticata, dell’americano sradicato e pentito, inseguito dai fantasmi, sempre in bilico tra redenzione e perdizione.
Nelle intenzioni degli autori, “Il professore e il pazzo” allude alle imprese contemporanee di Zuckerberg, Jobs e Gates, quasi stabilendo un raccordo ideale tra le ambizioni compilatorie del dizionario-monstre e gli effetti planetari della rivoluzione digitale. Va benissimo, ci sta, anche se la qualità principale del film, lungo due ore, realizzato con estrema cura dei dettagli (luce, ambienti, costumi, acconciature…), risiede nella capacità di intrecciare echi dickensiani e suggestioni vittoriane senza perdere di vista l’amicizia bizzarra tra quei due uomini, in una parola: il fattore umano. Di Gibson e Penn s’è detto, ma funzionano a meraviglia anche gli altri attori coinvolti: Eddie Marsan, Steve Coogan, Natalie Dorman e Jennifer Ehle…
Naturalmente la versione in inglese con sottotitoli è raccomandabile, per evidenti ragioni linguistiche legate alla sostanza stessa della storia. Mi auguro che la Eagle Pictures, la quale distribuisce il film da giovedì 21 marzo, ci abbia pensato.

Michele Anselmi