Giù dalla cattedra | Day four

a cura di Giorgio Nerone

Giornata corta. Non perché sia il giorno del Signore, per carità. C’è la stanchezza accumulata e la folla dei festivi, per cui cambio aria. Ma in effetti al mattino, durante l’ora della Santa Messa, assisto anch’io a una “funzione”, officiata da un sacerdote speciale. Si chiama Terry Gilliam, predica la supremazia dell’immaginazione sulla realtà, ha una vasta platea di fedeli pronti a sfidare la levataccia. Nonostante i miracoli, quelli veri, risalgano a diversi anni fa. Nell’orazione di oggi, Parnassus, tira in ballo il mito di Faust e lo Shakespeare della Tempesta. E poi specchi e mondi magici, scelte morali ad ogni incrocio, Tom Waits nei panni del Diavolo e Heath Ledger – all’ultimo viaggio – nei panni di un truffatore in cerca di una via d’uscita.

Sulla carta, la contro-religone proposta da Gilliam (blasfema non nei confronti della Chiesa romana ma di quella hollywoodiana) avrebbe le qualità per continuare a mietere proseliti. Sullo schermo, il suo cinema vorrebbe essere perfettamente “condensabile” nel carretto che porta a spasso il Dottor Parnassus e la sua piccola compagnia di imbonitori: scalcagnato, old-fashioned, multiforme e multifunzione, pieno di anfratti, doppi e tripli fondi. In definitiva terribilmente affascinante. Scalcagnato e old-fashioned il Parnassus lo è di certo. A mancare però sono i livelli di lettura, le sorprese non solo scenografiche. I personaggi di Gilliam stanno diventando sempre più esili, figurine in due dimensioni da muovere nei suoi mondi di cartone (e, in questo caso, di computer generated image). Ma così la “funzione” pubblica rischia di trasformarsi in privata, e la comunità di fedeli in Setta. Mancano carne e sangue da consumare sull’altare. Manca una realtà di riferimento che renda più pregnanti, decisive e urgenti le discese nella fantasia.

Chi ha percorso il sentiero al contrario, invece, è Ermanno Olmi. A 77 anni ha detto basta alla finzione ed è tornato al suo primo amore, il documentario. Solo realtà, ce n’è più bisogno. Osservata però con l’occhio selettivo dell’artista. Basta guardare Rupi del vino, una cinquantina di minuti dedicate alle spettacolari vigne “terrazzate” della Val Tellina, per capire quanto anche un lavoro sulla carta simile a un servizio di Linea Verde, in mani capaci, possa diventare straordinario. Olmi inquadra come nessuno la terra, il paesaggio e la ritualità contadina. Lo sapevo, ma rimango comunque stupefatto. E nelle ultime due inquadrature, campo/controcampo tra la tavola imbandita con i calici di vino e il soffitto affrescato, ci vedo uno sguardo autenticamente creatore. Gilliam, forse, avrebbe bisogno di sei mesi di ritiro spirituale in casa Olmi.

 

Giù dalla Cattedra  [appunti sparsi di un docente senza classe
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