A dispetto dell’altissimo tasso di divertimento correlato e dell’enorme carica metaforica (buona anche per fiumi di saggi “seri e noiosi”), il cinema dei mostri non gode oggi della fama che meriterebbe. Il più autorevole studioso italiano in materia di fantascienza, il regista e scrittore Luigi Cozzi, spiega il fenomeno, mettendoci la voglia di immergerci in un mare di celluloide (niente affatto noto) pieno delle più strane creature, a partire da un suo prezioso testo di circa 20 anni fa.

Il tuo “Godzilla & Company” (Profondo rosso editore, 2001) analizza, a partire dal capolavoro “King Kong”, quella particolarissima nicchia di pellicole che va sotto al nome di “cinema dei mostri”. Chi sono questi “mostri” e in che modo vengono associati alle grandi paure dell’uomo?
Luigi Cozzi: I mostri sono da sempre la raffigurazione ”materializzata” delle paure umane e si dividono in mostri umani, disumani e mitici. Immaginandoseli o vedendoli al cinema, la persona si libera, almeno momentaneamente, dall’angoscia vera, di qualsiasi origine sia, che la pervade nella realtà, dimenticandosela di fronte a un mostro immaginario apparentemente ben più spaventoso ma del tutto inesistente e che quindi non lascia traccia nell’animo né potrebbe mai far del male. Anzi, fa addirittura del bene, perché consente alla psiche di essere libera per almeno un paio d’ore, la durata di un film per esempio, dalle angosce autentiche. I mostri finti consentono insomma una sorta di catarsi liberatoria. Negli anni Trenta del secolo scorso il mostro per eccellenza era Frankenstein o King Kong, che raffiguravano la Grande Crisi, la povertà improvvisa,il crollo di Wall Street…negli anni Cinquanta i grandi mostri raffiguravano la bomba atomica e la paura di una nuova guerra mondiale ancora più atroce della precedente.

Nell’introduzione tracci, con invidiabile ironia e altrettanta affidabilità critica, una sorta di macro-soggetto del film di mostri, come a dire che non c’era molta possibilità di uscire da uno schema noto… È così?
L.C.: Era uno schema precostituito, modellato sul prototipo “King Kong”. La località sperduta, isola o Polo Sud – “Il riveglio del dinosauro” – o la giungla amazzonica – il mostro della laguna nera – o le viscere di un vulcano spento – lo scorpione nero – o gli abissi del Pacifico – “Godzilla” – o addirittura un pianeta vicino – “A 30 milioni di km dalla Terra” -, dove viveva, sconosciuta a tutti, la Creatura, che poi gli uomini infastidivano o catturavano spingendola a dirigersi verso una grande città, dove il mostro scatenava la propria furia devastatrice.

Il racconto del bambino Luigi Cozzi che, nonostante la febbre, non vuole saperne di perdersi “Godzilla”, solo per due giorni proiettato al Cinema Arcobaleno a due passi da dove in viale Tunisia a Milano, è uno di quei momenti in cui l’analisi filmica si mescola in maniera godibilissima con il genere letterario dell’auto-fiction. Possiamo parlare di questo?
L.C.: È una storia vera. A me piace infarcire a volte le mie cronache cinematografiche con racconti personali, in maniera da renderle più vive, più personali e ”vissute”, un po’ come faceva per esempio Giuseppe Marotta nei suoi libri di recensioni editi nel corso degli anni Cinquanta, dove a volte divagava al punto che del film recensito, se non gli piaceva, parlava solo nelle ultime quattro o cinque righe di un articolo a esso dedicato invece lungo.

Come spesso accade nei libri che dedichi ad una delle tue grandi passioni, la fantascienza anni Cinquanta, il volume dei titoli ormai dimenticati che il lettore può conoscere è impressionante. Oltre ai capolavori riconosciuti come “King Kong”, “Godzilla”, “Assalto alla Terra”, “Tarantola”, “Il risveglio del dinosauro”, il libro ha a che fare con formiconi, mostri marini, tartarughe, giganti di metallo e altre amenità, a conferma di quanto la fantasia degli anni Cinquanta fosse molto più sfrenata di quella attuale. Che ne pensi?
L.C.: C’è stato uno sfrenato delirio, Quando c’era un film di successo fioccavano le imitazioni, basta pensare alle api gigantesche di “Il pianeta dove l’inferno è verde”, la mantide colossale di “La mantide omicida”, gli uomini-talpa o ”talponi” del “Tempio degli uomini talpa”, gli scorpioni ciclopici di “Lo scorpione nero”, i conigli ingigantiti di “La notte della lunga paura”, il gallinaceo extraterrestre di “Il mostro dei cieli”, l’Ymir venusiano che devasta Roma in “A 30 milioni di km dalla Terra”, la piovra immensa di “Il mostro dei mari” e molti altri mostri enormi ancora. Lo schema di base di tutti questi film è identico o quasi. Allora le imitazioni riguardavano solo i film, poi hanno preso a riguardare anche la televisione, perché se nel mondo dello spettacolo c’è un successo, subito si cerca di ripeterlo sfornando un sequel, una copia, un’imitazione, uno spin-off in qualsiasi genere. E anche oggi succede lo stesso, dove a volte accade addirittura che il campione di incassi ricopiato sia un film per il cinema, mentre le imitazioni sono fatte per la televisione, oppure capita il contrario, ovvero che una serie tv di successo venga trasferita di peso sul grande schermo. In particolare oggi, dato il grande costo di ogni produzione, si cerca prevalentemente di ricopiare qualcosa che ha già funzionato per ridurre al minimo i rischi…quindi ora di originalità ce n’è proprio poca, i produttori hanno paura di mettersi a fare storie delle storie che siano del tutto ”nuove” e conseguentemente sconosciute al pubblico.

“La vendetta di Gwangi”, come altri titoli, si merita un capitolo a parte e molti elogi. Qual è il grande valore di questo titolo, ancora oggi?
L.C.: È una insolita favola concepita alla fine degli anni Trenta, con il romanticismo e il fascino della grande avventura tipico di quei tempi, ambientata inoltre negli ultimi anni del Far West, alla fine dell’Ottocento, e per di più il film poi è stato realizzato solo alla fine degli anni Sessanta. È quindi un’opera che attraversa i periodi, travalica i tempi, li rimescola e ancora oggi funziona alla perfezione. Piace soprattutto perché al suo interno contiene la parte più affascinante di quelle epoche, unendo i dinosauri ai cowboy, diventando in pratica non più databile con precisione, appartiene infatti, più che a un determinato periodo storico, prevalentemente al mondo dei sogni e quelli non invecchiano mai, sono sempre uguali per tutti.