L’angolo di Michele Anselmi 

“Se qualcosa può andare storto, lo farà” ammonisce la Legge di Murphy. Confesso di aver visto tutto il nuovo, bellissimo e amaro film di Asghar Farhadi pensando a quel precetto, paradossale ma non troppo. Nelle sale da lunedì 3 gennaio con Lucky Red dopo il Gran premio speciale della giuria conquistato a Cannes 2021, “Un eroe” segna il ritorno in patria del quasi cinquantenne regista persiano. In molti non hanno apprezzato i due film da lui girati in Francia e Spagna, ovvero “Il passato” e “Tutti lo sanno”, che invece io trovo ugualmente interessanti; ma certo è nel racconto del suo Iran che Farhadi dà il meglio di sé, sin dai tempi di “Una separazione”.
“Un eroe” è un titolo da leggere per antifrasi, o meglio con una sorta di asprigno sarcasmo, perché il presunto eroismo del protagonista dura poco, si sbriciola penosamente in quel mix di antiche tradizioni sociali e nuove pratiche social che Farhadi coglie con lucido pessimismo.
Rahim Soltani, condannato a tre anni di carcere per non aver rimborsato un prestito da 70 mila toman, è fuori per un permesso. Mollato dalla moglie che gli ha lasciato in custodia il figlio balbuziente ora dai nonni, il barbuto trentenne scopre che la sua nuova fidanzata, Farkhondeh, ha appena trovato una borsa per strada con delle preziose monete d’oro. Che farne? L’uomo prova a venderle per estinguere il debito almeno in parte, ma poi preferisce mettere un annuncio e restituire quel denaro. La legittima proprietaria, almeno così appare, si fa viva, le monete vengono riconsegnate e il gesto molto piace all’amministrazione penitenziaria, che decide di cavalcare la notizia, anche per mettere a tacere un recente caso di suicidio in cella. Risultato? Soltani diventa di colpo “un eroe”, elogiato dai mass-media, descritto come un cittadino modello che ha saputo redimersi, la riabilitazione con sconto di pena è a un passo, anche un lavoro; e tuttavia ogni sua mossa successiva, tra innocenti bugie e qualche giravolta del destino, gli si ritorce contro, trasformandosi via via in un incubo.
Farhadi spiega che sono vicende comuni in Iran, dove vige la pena di morte per impiccagione e al tempo stesso una parola di perdono da parte di una vittima molto conta ai fini della pena carceraria. Lo smarrito Soltani si ritrova stritolato in quel contesto, prima assaporando una sorta di celebrità inattesa, gasata; ma subito dopo dovrà fare i conti con una burocrazia che alimenti i peggiori sospetti e rovescia il tavolo delle illusioni.
Naturalmente nessuno è davvero innocente in questo apologo sulla natura umana, sia pure detto con toni realistici, nel quale confluisce anche un omaggio a “Ladri di biciclette” di De Sica (ma viene da pensare, nel finale, anche a “Dov’è la libertà?” di Rossellini con Totò).
Gli interpreti, da Amir Jadidi a Mohsen Tanabandeh, da Fereshteh Sadrorafaii a Sarina Farhadi, sono perfetti per adesione e naturalezza, e certo la versione in lingua originale con sottotitoli è da preferire a quella doppiata, sempre che si trovi. Colpisce soprattutto, in “Un eroe”, lo stile quieto che il regista applica alla ricostruzione degli eventi, mettendoli in fila l’uno dietro l’altro, ogni volta riaprendo la questione, fino a svelare l’atroce garbuglio che rovescia il corso degli eventi in questo Iran sospeso tra passato e presente, tra veli e “like”.
Lo so, sono giorni non facili per il cinema al cinema, e pensare che non mancano film buoni da vedere, specie sul versante d’autore: penso, oltre a questo, a “Illusioni perdute” di Xavier Giannoli, “Nowhere Special” di Uberto Pasolini, “One Second” di Zhang Yimou, presto “È andato tutto bene” di François Ozon. Di sicuro non troverete pienoni in sala: sicché indossate la mascherina FFP2 e fatevi tentare.

Michele Anselmi