L’angolo di Michele Anselmi
Il cineasta marxista Robert Guéduguian, classe 1953, vede sempre più nero sui destini sociali della Francia. Già si capiva vedendo “La casa sul mare”, del 2017, ma con “Gloria Mundi”, che fu in concorso alla Mostra di Venezia del 2019, il marsigliese propone forse il suo racconto più pessimista. Diceva nelle note di regia: “Il neocapitalismo ha schiacciato relazioni fraterne, amichevoli e solidali, e non ha lasciato altro legame tra le persone se non il freddo interesse e il denaro”. Magari esagera un po’. Vero è che le dichiarazioni politiche, vale anche per l’inglese Ken Loach o i belgi Dardenne, lasciano sempre un po’ il tempo che trovano se restano “comizietto” ideologico e non sono incise sulle pelle dei personaggi. Ma non è questo il caso.
Gloria è il nome di una bambina appena nata, pure ripresa con struggente tenerezza durante il parto; ma “Sic transit gloria mundi”, il titolo completo del film, è un noto detto latino che rimanda alla sostanza effimera delle cose. Fiori, brindisi e fotografie per il lieto evento, e tuttavia in pochi minuti Guédiguian descrive una condizione tutt’altro che ilare: la giovane mamma è frustrata e prossima disoccupata, al marito che lavora con Uber alcuni tassisti spezzano il braccio sinistro per ritorsione, la sorella “squalo” gestisce col marito vizioso e cocainomane un negozietto all’ingrosso che deruba le persone bisognose; poi ci sono i nonni, onesti e laboriosi, lei si ammazza ogni notte, sfruttata, per fare le pulizie, lui guida gli autobus cittadini e teme la pensione vicina. Infine c’è Daniel, l’ex marito della nonna e vero padre della figlia che ha appena partorito: è stato vent’anni in prigione per una rissa finita con un morto, era bello e maledetto, oggi scrive poetici “haiku” e vuole solo vedere la nipotina.
Piantato nella Marsiglia popolare e multietnica che Guédiguian ben conosce, “Gloria Mundi” alterna scenate e pacificazioni, ingordigie sessuali e comportamenti malinconici, ma non ci vuole molto a capire che, nella morsa della crisi economica che spappola i rapporti umani, la tragedia è nell’aria.
Guéduguian non gode più dei favori critici di un tempo. E forse anche lui, teorico di una “semplicità” espressiva tra Ford e Ozu (parole sue), un po’ si ripete. Tuttavia “Gloria Mundi”, nonostante il timbro da melodramma sociale scandito da arie di Toscanini, è un film che non lascia indifferenti, perché pesca nel disagio proletario e piccolo borghese, perché dipinge un certo razzismo latente e i limiti della lotta sindacale, soprattutto perché trae di nuovo il meglio dai consueti attori della cine-compagnia, a partire da Ariane Ascaride (Coppa Volpi a Venezia 2019), Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan. Frase destinata ad essere smentita nel corso degli eventi: “I legami di sangue? Tutte cazzate”. Coproduce il nostro Angelo Barbagallo, nelle sale italiane dal 13 maggio con Parthénos.
Michele Anselmi