L’angolo di Michele Anselmi

Non si tratta d’essere puristi del cinema in lingua originale, so bene che il pubblico italiano poco sopporta i sottotitoli. Ma aprite i due file qui sotto. Il primo è il trailer internazionale di “Darkest Hour”, il secondo è il trailer italiano di “L’ora più buia”, che poi è lo stesso film. Nel primo Gary Oldman, irriconoscibile sotto il pesante trucco che lo trasforma in Winston Churchill, ricostruisce sullo schermo, senza farne una macchietta, l’inglese bizzarro, borbottato, anche arguto, perfino “attoriale”, di quello che fu nominato Primo ministro al posto del debole Neville Chamberlain ai primi di maggio del 1940, quando tutto stava crollando e le armate di Hitler, conquistate Olanda, Belgio e in buona misura Francia, stavano per inchiodare a Dunkirk (o Dunkerque) l’esercito britannico sconfitto. Nel secondo file trovate lo stesso trailer, con Oldman-Churchill doppiato con cura e adesione da Stefano De Sando, voce prodigiosa e bravo attore di prosa, oltre che doppiatore ormai storico di Robert De Niro e di tanti altri. De Sando è bravo, ma la differenza risulta evidente, e ci fa capire come anche il doppiaggio migliore, certo utile e necessario a promuovere film di forte impianto popolare in vista del passaggio televisivo, vanifichi sfumature, sapori, spesso alterando il carattere stesso di un personaggio, specie se davvero esistito.
Non a caso il bel film del 45enne inglese Joe Wright, 114 minuti che si vedono senza mai guardare l’orologio, si chiude proprio con una battuta del conte di Halifax, nemico giurato di Churchill e convinto sostenitore della pace con Hitler, che recita: “Ha mobilitato la lingua inglese a l’ha spedita in battaglia”. Churchill aveva appena finito di parlare alla Camera dei Lord, sostenuto dal re balbuziente Giorgio VI e tra gli applausi di conservatori e laburisti, chiamando il popolo britannico a resistere, resistere, resistere. Anche da soli, se l’America non fosse scesa in campo.
In tanti hanno incarnato, al cinema o in tv, il mitico politico inglese con la lobbia, il sigaro perennemente in bocca, il whisky sempre a portato di mano, il panciotto e i pantaloni ascellari sopra la pancia gonfia, il borbottio vocale permanente. Brian Fox, John Lithgow, Brendan Gleeson, Timothy Spall, sono per dirne alcuni recenti. E tuttavia Gary Oldman, a mio parere, li surclassa tutti. Ha ragione la collega Marzia Gandolfi quando scrive su MyMovies.it che “se sei un artista di eminenza e hai raggiunto l’età e la rotondità necessarie allora non puoi sottrarti dall’interpretarlo. Incarnare Winston Churchill per un attore è un rito di passaggio, un privilegio non privo di responsabilità”. Per un attore inglese o britannico, aggiungerei, perché timbro e pronuncia molto contano.
In realtà Oldman è ancora magro e slanciato, pieno di capelli. Ma si immerge nelle rotondità del 66enne Churchill, pure nel make-up elaborato che altera i suoi connotati (solo gli occhi si riconoscono), senza trasformarsi, appunto, in una sorta di imitazione. Credi subito, specie nella versione originale del film, all’eccentrico carattere di questo conservatore, sul quale continuava a pesare il ricordo del disastro militare di Gallipoli (Turchia), chiamato al comando della nazione del momento più fosco. “Avrò l’incarico solo perché la nave affonda. Non è un regalo, è una vendetta”, confida alla moglie mentre sta andando a corte.
Il film è ambientato quasi interamente nel maggio 1940, i giorni sono scanditi da scritte giganti. L’esercito inglese è intrappolato sulla spiaggia di Dunkirk, non ci sono caccia Spitfire da spedire sulla Manica per proteggere l’evacuazione di massa di oltre 300 mila uomini (curioso come nacque il nome dell’operazione Dynamo), il sovrano medita addirittura di volare in Canada per non cadere in mano ai tedeschi in caso di invasione e il presidente Roosevelt ha ancora le mani legate, nel senso che deve dichiararsi “neutrale” nel corso di una curiosa telefonata con Churchill.
Il film, da gustare come l’altra faccia di “Dunkirk”, è fitto di dettagli, curiosità, divagazioni, immagino preciso negli eventi ricostruiti, anche scaltro nell’accostare allo statista, famoso quanto discusso, una giovane e carina dattilografa, interpretata da Lily James, che diventa una sorta di amica e suggeritrice. Proprio lei, che ha perso un fratello in guerra, consiglia a Churchill di dare ascolto al popolo prima di decidere, e lui che fa? Prende da solo la metropolitana che sempre l’aveva terrorizzato e si intrattiene, nella sorpresa generale, con donne, uomini e ragazzini. Il colpo è basso, anche al cinema, ma di quelli che funzionano. Il resto si vedrà. Del resto, fu proprio Churchill a teorizzare, vai a sapere se ci credeva davvero o no: “Le cause perse sono le sole per le quali vale la pena di battersi”.

Michele Anselmi