L’articolo firmato da Marco Travaglio sul film “Hammamet” che racconta il cosiddetto esilio di Bettino Craxi in Tunisia induce a riflettere sul senso del cinema quando si avventura a ricordare personaggi controversi. In questo caso non è in discussione l’interpretazione di Pierfrancesco Favino, in stato di grazia, forse ancora più di quando ha interpretato il boss Tommaso Buscetta nel film di Marco Bellocchio “Il traditore”. Né è in discussione la regia di Gianni Amelio, uno dei nostri migliori registi. La questione è un’altra: è possibile raccontare la biografia di un malandrino senza cadere nell’agiografia? Lo stesso quesito si è posto all’uscita del film “Il divo” su Giulio Andreotti, firmato da Paolo Sorrentino, che a molti è parso più un peana che una critica alle sue imprese, come l’appoggio ad alcune consorterie in odore di mafia.
Anche all’uscita dei film di Martin Scorsese sui protagonisti appartenenti alla criminalità italoamericana molti si sono chiesti se non fosse latente l’omaggio da parte di un regista cresciuto in una strada di Little Italy, Elizabeth Street, dove di mafiosi ne poteva incontrare tutti i giorni, magari dovendo stringergli la mano. Lo stesso “The Irishman”, il suo film per Netflix, ripropone l’antica querelle: critica o tributo alle gesta dei gangster più efferati? Come non appassionarsi alle imprese di Robert De Niro o del suo mentore Joe Pesci, un formidabile interprete che anche quando ammazza e fa ammazzare ti induce a pensare solo a quanto è bravo e non a quanto è scellerato. Qualcosa di simile è accaduto anche quando alcuni fa in Germania è stato realizzato un film sugli ultimi giorni di Hitler. Titolo “La caduta”. Protagonista un meraviglioso Bruno Ganz, scomparso da poco. Così bravo, così credibile, così appassionato, che alla fine pensi a Hitler come a uno psicopatico che avrebbe avuto bisogno di cure anziché trovare la morte nel bunker.
Delle gesta del leader del partito socialista Travaglio ha dipanato una sequela impietosa e non mi sembra ci sia da discutere. Si tratta di fatti, date e avvenimenti che ormai appartengono alla storia. Il problema è se il cinema, nel momento in cui si cimenta con personaggi reali, sia in grado di essere obiettivo oppure no. Ho avuto occasione parecchi anni fa di conoscere Bettino Craxi nel suo regno romano all’Hotel Raphael, quando insieme a un suo sodale, Massimo Pini (che conoscevo in quanto editore di un mio libro), mi fu proposto di realizzare un film sul partito comunista di allora, ovviamente critico, che sarebbe servito al Psi per farne buon uso. Venivo dal successo di un film satirico e impietoso sulla Democrazia Cristiana, “Forza Italia!” (sceneggiato da Antonio Padellaro e Carlo Rossella) e l’idea del leader socialista era di fare altrettanto nei confronti del Pci. Risposi no grazie, non perché pensassi che alcune esecrabili gesta di quel partito non meritassero un film, ma perché non sono solito lavorare per conto terzi. Anni dopo, quando Craxi era ormai fuori dai giochi, mi fu proposto da alcuni suoi amici di realizzare un film sull’esilio tunisino. Di nuovo rifiutai per le stesse ragioni.
Ora il film è stato fatto e secondo me è comunque un bene perché serve a discutere su un personaggio, che di certo non è passato inosservato. Anche in questo caso l’attore che lo interpreta è così bravo, che mentre lo guardi non ti viene in mente che si tratta comunque di un politico fuggito per non farsi processare. Craxi si autoassolve, sostenendo con fierezza che se ha rubato ha fatto né più né meno come tutti gli altri colleghi seduti in Parlamento. Aggiungendo che, stando così le cose, non si sarebbe fatto giudicare da tribunali altrettanto corrotti o corruttibili. Mio Dio, ma vi sembra la giustificazione di uno statista? È come se approvassimo un ladro o un assassino che si oppone all’arresto perché in giro ci sono molti altri simili a lui.
Roberto Faenza