L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
Chiamatelo Ismaele, anche se il baleniere qui si chiama Thomas. Non a caso il sottotitolo di “Heart of the Sea” recita “Le origini di Moby Dick”, perché sia chiaro dove si va a parare. Trattasi di filmone all’antica hollywoodiana, bello e appassionante, anche se vagamente fuori moda. Vedremo come andrà. Ron Howard, regista eclettico e sempre interessante, l’ha girato dopo “Rush” e prima di ributtarsi con “Inferno” nel mondo di Dan Brown. Facendone uno spettacolone ricolmo di effetti speciali digitali, ma con un cuore palpitante, che rinnova il mito e maneggia l’epica, con una punta di politicamente corretto, per non dispiacere agli animalisti.
Schematizzando si potrebbe dire che “Heart of the Sea” comincia come “Master & Commander”, prosegue come “Moby Dick”, lambisce “Il vecchio e il mare” e “Lo squalo”, evoca “Cast Away” e finisce un po’ come “Il Bounty”, anche se qui capitano e primo ufficiale diventano amici. Ma si può benissimo ignorare i cine-modelli e gustarsi il film, lungo due ore, per come Howard riesce ad aggiornare il materiale tipico dell’avventura marinara ottocentesca, mischiando storia e allegoria, realismo e fantasia, malvagità e coraggio, in questa vicenda di estrema sopravvivenza.
Melville comunque c’entra, eccome, anzi si vede pure. Ancora giovane e sconosciuto, siamo nel 1850, arriva a Nantucket, cuore dell’industria legata all’olio di balena, per farsi raccontare da un barbuto marinaio, che la visse in prima persona restandone per sempre segnato, la leggendaria storia di una gigantesca balena bianca capace di far affondare un vascello a due alberi. Un anno dopo pubblicherà “Moby Dick”. E questa è la cornice: da un lato il giovane scrittore in cerca di ispirazione che patisce il magistero di Nathaniel Hawthorne, dall’altro il maturo marinaio depresso che non ha mai voluto spiegare come andò davvero. Parte il flashback e ci ritroviamo nel 1820, trent’anni prima, quando la baleniera Essex salpa dal porto di Nantucket, portandosi dietro un oscuro presagio di morte. Succede quando si comanda in due: l’incapace e arrogante capitano George Pollard non sopporta l’esperto e rispettato primo ufficiale Owen Chase, e una bufera devastante ridurrà già a mal partito la nave. Il peggio, però, deve arrivare, naturalmente una volta doppiato Capo Horn: quando la balena bianca, che non si chiama ancora Moby Dick, farà capire tragicamente agli uomini della Essex chi comanda in mare.
«Come può un uomo conoscere l’inconoscibile?»: è il refrain della sceneggiatura di Charles Leavitt, tratta dal libro “Nel cuore dell’oceano – Il naufragio della baleniera Essex” di Nathaniel Philbrick. Ma il film, pur maneggiando la metafora dalle rifrangenze divine, punta al grande pubblico, secondo le convenzioni di un genere, appunto marinaro, che vuole farci sentire quasi fisicamente, pure grazie al 3D, la fatica quotidiana di quei balenieri impegnati a uccidere e svuotare cetacei in quantità, per trarne il prezioso olio animale necessario a illuminare le città dell’epoca (il petrolio arriverà giusto trent’anni dopo). In tal senso “Heart of the Sea” non rinuncia a nulla, ingigantendo l’effetto visivo: arpioni, corde, ancore, onde giganti, la coda e gli occhi della Bestia, il sangue delle balene, e ancora la fame, la sete, gli scheletri, perfino il cannibalismo. Il tutto mentre echeggia il sempre suggestivo gergo della marineria: «Cazza la randa», «Andiamo verso il groppo», «Alza i coltellacci», «Gli imbrigli del trinchetto», eccetera.
Benjamin Walker è il capitano un po’ stronzo in divisa, s’intende figlio della casta; Chris “Thor” Hemsworth il primo ufficiale audace che viene dal popolo e si fida troppo di sé. A fine film li vediamo con un bel po’ di chili in meno e tanta barba in più, come succedeva a Tom Hanks in “Cast Away” di Zemeckis, perché il pubblico ci creda. Nel cast anche Ben Whishaw, Tom Holland e Brendan Gleeson, nei panni rispettivamente di Melville e del mozzo, da piccolo e da vecchio. Tutti bravi al lume di candela o sotto il sole che brucia la pelle, mentre il Leviatano del Pacifico ci ricorda che quasi niente è in nostro potere.
Michele Anselmi