la visione dei primi spezzoni di Avatar ho fatto un sogno modesto ma eloquente. Ho sognato che gli americani con i loro viaggi sulla luna e le loro astronavi in cerca di altri pianeti forse si stanno dirigendo, più o meno consapevolmente, verso nuovi insediamenti. Nel sogno, partivano con migliaia di astronavi, che solo loro possono finanziare e costruire, lasciando noi minores ad abbrustolire sulla terra desertificata e resa invivibile, causa la distruzione ambientale provocata dall’ingordigia e dal disinteresse per il futuro. Si dirà: che c’entra tutto ciò con il cinema moderno? Beh, non lo vedete: asteroidi roboanti, alieni, uomini dalle membra trapiantate, armamenti micidiali, mondi sconosciuti… E la terra? E l’uomo, come si chiedeva Huxley alla fine del suo Brave New World? Prendiamo il caso di Il nastro bianco, stupendo film del regista austriacoMichael Haneke. Nonostante la Palma d’oro vinta all’ultimo Festival di Cannes, in Italia l’hanno visto pochissimi spettatori e nessun giovane. Descrive, in bianco e nero, come nascono la sopraffazione e la dittatura, attraverso il segreto di focolari chiusi, porte serrate, crudele possesso della felicità dei figli e della famiglia come neppure André Gide avrebbe saputo raccontare. Grazie a questo tipo di cinema, e non importa se non fa bingo ai botteghini, c’è ancora chi si occupa dell’uomo e della sua dimensione terrestre, a prescindere dalla magniloquenza degli effetti speciali. E visto che sulla terra alla fin fine ci dobbiamo restare, sarà bene rinsaldare l’antico vincolo con l’umano. Anzi, converrebbe rinforzarlo ed estenderlo ai più giovani, spesso ignari che la vita, per nostra fortuna, ancora non è diventata un videogioco.
`Hollywood contro il resto del mondo`
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Mentre qui da noi si discute dei cinepanettoni, Sagunto viene espugnata, come direbbe Tito Livio se potesse assistere all’imminente arrivo delle armate di Avatar. Siete pronti a essere stupefatti e annichiliti dalla sua potenza, dalle sue diaboliche invenzioni, dai suoi megaeffetti speciali, dalle sue creature extraterrestri? Tenetevi stretti e allacciate le cinture di sicurezza per un viaggio mirabolante: il film sta per invadere l’Italia e le sue sale 3D. In attesa, abbiamo visto A Christmas Carol, anch’esso in 3D, con Jim Carrey reso irriconoscibile e traghettato verso sembianze mai viste prima d’ora (ma perché usare gli attori, se il fine è quello di renderli geneticamente modificati?). E abbiamo visto Sherlock Holmes, che ci ha annientati con il volume di fuoco delle sue immagini, quella Londra resa apocalittica, quel ponte spezzato a metà sopra il Tamigi, dove i nostri protagonisti si incontrano per l’ultima sfida da brivido. Queste pellicole hanno sicuramente sbalordito gli spettatori, ma dubito che li abbiano emozionati, forse perché il viaggio verso l’estremo è appena iniziato e la sopraffazione ancora non vince sull’emozione. Alla fine di queste visioni la certezza è una sola: il computer ha preso il sopravvento sulla macchina da presa, le immagini umane cui siamo stati abituati sin dai tempi dei fratelli Lumière sono ormai superate da immagini virtuali e artificiali. In una parola l’uomo non è più al centro del cinema contemporaneo (hollywoodiano), perché l’interesse del suo baricentro immaginifico si è spostato in avanti. Le lancette dell’orologio americano corrono all’impazzata verso un mondo che definire postmoderno sa già di passato e di antico. Solo Hollywood può creare il nuovo spazio e il nuovo universo filmico: basti pensare che i tre titoli sopra citati sono costati varie centinaia di milioni di dollari, quando al confronto un film del resto del mondo costa in media parecchio meno di una sola decina. E’ il dominio del fantastico occupato manu militari con la forza del denaro più che con la creatività. Di fronte a investimenti così ingenti, con cui si potrebbero costruire interi grattacieli, il cinema del resto del mondo può solo chinare la testa e ammutolire. Se la competitività deve avvenire su tali binari, meglio chiudere le nostre Cinecittà, comprarsi le nuove griffe degli occhialini 3D che stanno per riempire negozi e boutiques, quindi ritirarsi nel comodo ruolo di spettatori passivi, stupefatti e inermi. Dicevo il resto del mondo, perché la partita che si sta giocando è proprio questa: da una parte gli studios americani e dall’altra parte del campo il cinema dei paesi europei, asiatici, africani, sudamericani. Una partita persa in partenza, vista la sproporzione delle forze messe in campo. Dopo