Mina (Alba Rohrwacher) e Jude (Adam Driver) si amano. Lei è vegana, lui vegetariano. Quando nasce il loro primo figlio, lei vuole che sin dai primi mesi non mangi carne. Ma il piccolo non cresce come deve: lui cambia idea, mentre la moglie persiste nella sua convinzione, nasce quindi un rabbioso braccio di ferro tra idealismo alimentare e sopravvivenza del neonato…

Hungry Hearts, pur girato da un italiano, non ha il sapore di un film italiano. Per fortuna. Perché Saverio Costanzo, che ha studiato cinema in America, è il meno italiano dei nostri registi. E Hungry Hearts è un film dal passo europeo. Costanzo ha la fame di osare, provocare, proporre qualcosa di nuovo. E’ così che la distorsione mentale dei due protagonisti viene resa con l’uso invasivo di fish-eye e GoPro in interni, come a sottolineare lo straniamento che rovinosamente li colpisce. Una trovata barocca, un po’ manierista un po’ pop, che perfettamente si addice all’estro e all’ego del regista. A questo, poi, aggiunge una colonna sonora che strappa applausi sin dalla prima “traccia”, poiché riporta on screen quel cult di What a feeling per eternizzare l’idillio amoroso dei due sposi novelli.

La descrizione dei due personaggi protagonisti è portata avanti da una sceneggiatura che, dialogo dopo dialogo, mette a nudo la loro psiche e la loro anima, così vicine e così lontane. La Rohrwacher è brava, intensa, credibile nella parte della matta. Notevole al suo fianco la prova di Driver, nei panni di un marito e papà amorevole, paziente, ma anche esasperato e capace di guardare, a differenza della moglie, oltre il proprio naso. Insomma, si tratta di un drammone familiare che coinvolge, disturba e fa riflettere su una “moda alimentare” sempre più diffusa, e sugli effetti collaterali che può provocare se seguita con fare fondamentalista. Ma soprattutto, siamo alle prese con un film adatto a chi è affamato di un cinema che sa raccontare una storia vicina con un gusto estetico fuori dal coro.

Tommaso Tronconi