L’angolo di Michele Anselmi

Torna a teatro, dov’era nato nel 2017, “I due Papi”, ovvero la pièce del drammaturgo/sceneggiatore neozelandese Anthony McCarten, che poi è anche l’autore di “Bohemian Rhapsody” e “L’ora più buia”. In realtà il titolo originale recita “The Pope”, al singolare, ma poi il film Netflix del brasiliano Fernando Meirelles ha fatto scuola ed ecco in giro per l’Italia lo spettacolo diretto dal 37enne Giancarlo Nicoletti, con Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo nei ruoli che, al cinema, furono di Anthony Hopkins e Jonathan Pryce. Stasera, sabato 29 aprile, e domani, domenica 30, si può ancora vederlo alla romana Sala Umberto, nella traduzione di Edoardo Erba, con le fantasiose scenografie di Alessandro Chiti: il mio consiglio è di andare, magari senza fare confronti con il film, perché sono due cose parecchio diverse, entrambe di pregio.
Era scontato che “I due Papi” avrebbe fatto arrabbiare chi si occupa di cose vaticane. Ricordo che Marco Tosatti intinse la penna nel sarcasmo scrivendo su “Stilum Curiae” quanto segue: “Abbiamo un capovolgimento totale della realtà. Di sicuro se c’è qualcuno che non ha voluto diventare Papa (stava organizzando, finalmente, la sua pensione, nel rifugio dei Castelli…) è proprio Joseph Ratzinger. Quanto a Jorge Mario Bergoglio, a sentire che l’ha conosciuto e lo conosce, se c’è qualcuno che ha cercato tutta la vita il potere questi è proprio lui”.
Solo che McCarten non pretende di raccontare come sono andate davvero le cose tra papa Benedetto XVI e il futuro papa Francesco, semmai elabora una fantasia, benché legata a fatti in parte documentati, che gioca su un altro piano, divertito
e allegorico, immaginando un lungo incontro privato, quasi un match a sfondo non solo spirituale o teologico, tra i due grandi uomini di Chiesa.
Rispetto al film, lo spettacolo teatrale offre due ampi prologhi che preparano il decisivo confronto, datato 2012, tra il pontefice tedesco e l’allora cardinale argentino. Nel primo vediamo Ratzinger, in clergyman, che confessa alla fedele suor Brigitta l’intenzione di dimettersi di lì a non molto; e intanto i due, come in un platonico duetto amoroso, parlano di sé stessi, di fede, della zuppa calda e del “Commissario Rex” che sta per cominciare in tv. Nel secondo, ambientato a Buenos Aires, vediamo Bergoglio intrattenersi con la premurosa suor Sofia: anche lui vorrebbe dimettersi, però da cardinale e arcivescovo, pur avendo “solo” 75 anni, ma tarda a venire da Roma l’assenso per lettera del pontefice e quindi…
Solo dopo, nel secondo tempo, arriva l’incontro tra i due che si srotola tra la residenza di Castel Gandolfo e la Cappella Sistina. E qui ricorderete: il pontefice tedesco nega la sua firma al porporato argentino, considerato ribelle e avversario, ma strada facendo capiremo il motivo di quel diniego che anticipa un cambio epocale nella storia vaticana.
“Le coincidenze non esistono, siamo tutti nelle mani di Dio” sentiamo dire, e a quel punto, mentre i due imparano a conoscersi dopo essersi vivacemente combattuti sulla crisi e il futuro della Chiesa, appare evidente quanto ha in testa di fare, e farà l’anno successivo, il 28 febbraio 2013, il cosiddetto “rottweiler di Dio”.
Al pari di Hopkins e Pryce anche Colangeli e Rigillo gigioneggiano un po’, assecondando il disegno dell’autore, insomma estremizzando i caratteri dei due personaggi ai fini dello spettacolo. E fanno benissimo. Ratzinger è conservatore, tutto studio e niente vita, infiacchito dagli acciacchi, lambito da scandali, dedito a suonare Mozart al pianoforte e a cenare da solo, affezionato alle pontificie pantofole rosse; Bergoglio è progressista, un gesuita in buona salute che canticchia “Dancing Queen” degli Abba, balla il tango con le donne, adora il calcio, mangia la pizza preferibilmente in compagnia, indossa scarpe normali coi lacci.
Stereotipi? In parte sì, ma il pubblico si diverte in platea, e il tono leggero serve per arrivare al cuore del discorso: entrambi i religiosi custodiscono segreti e peccati (Ratzinger fu troppo clemente sul tema della pedofilia, Bergoglio fu troppo cedevole nei confronti della dittatura militare), solo l’uno può assolvere l’altro e viceversa, rendendo una sorta di piena confessione.
Naturalmente i due interpreti arpeggiano sul tema, in uno scambio anche arguto di battute, più o meno le stesse del film. Dice Rigillo/Bergoglio: “Sua Santità, sa come si suicida un argentino? Si arrampica in cima al proprio Ego e si butta giù”. Dice Colangeli/Ratzinger: “Dio corregge un Papa, dandocene un altro”.
Pochi gli attori in scena: oltre ai due mattatori, ci sono Anna Teresa Rossini e Ira Fronten nei panni delle due suore di fiducia, più Alessandro Giova nel ruolo di una specie di segretario del pontefice.
PS. Venerdì sera, alla Sala Umberto, purtroppo non funzionavano bene i microfoni, alla fine spenti, grazie a Dio, per non creare scompensi vocali. Francamente sarebbe meglio evitarli proprio. Sono tutti attori con belle voci, abituati a farsi sentire dal pubblico in platea.

Michele Anselmi