“I due volti del terrore” di Michele Tetro e Roberto Azzara analizza i rapporti, le discrepanze, le similitudini e le differenze che una storia concepita per vivere su carta – racconto, romanzo o fumetto che sia – può subire nella sua trasposizione su grande schermo. Il piacevolissimo librone, pubblicato da Odoya e disponibile in libreria a 26 euro, non può mancare nella libreria di ogni fan del genere horror. Di seguito un’intervista con gli autori.

Come nasce “I due volti del terrore” e qual è la sua “filiazione” rispetto a “Mondi paralleli – Storie di fantascienza dal libro al film”?

Michele Tetro: Il volume “Mondi paralleli – Storie di fantascienza dal libro al film”, pubblicato nel 2011, era stata un’opera notevole quando uscì, scritta con l’intenzione appunto di mettere in relazione e confronto le storie narrative originali di fantascienza, romanzi e racconti, con i loro adattamenti cinematografici, riscontrandone analogie e diversità, analizzando diversi approcci e sensibilità autoriali, rimarcando discrepanze, similitudini e differenze che una storia (racconto, romanzo o fumetto) originariamente concepita per la carta stampata potesse mettere in campo durante la sua trasposizione cinematografica. Lo scopo era appunto fornire una guida pratica, veloce e di facile consultazione sul tema. Con gli stessi fini e obiettivi è stato automatico pensare anche a un’opera gemella stavolta inerente il genere horror (in realtà si potrebbe pensare una cosa simile per ogni genere narrativo). Già a suo tempo, a ridosso dell’uscita del libro per i tipi dell’Editore della Vigna (che programmò nel 2016 anche l’edizione aggiornata a cinque anni dopo) e in virtù del buon successo riscontrato (si aggiudicò il Premio Italia nel 2012 e il Premio Vegetti 2013 per miglior saggio in volume), si era pensato di iniziare i lavori per la narrativa e cinema horror ma l’imminenza di altri progetti saggistici degli autori (oltre me anche Gian Filippo Pizzo e Roberto Chiavini), comuni e non, ne impedirono la realizzazione per i successivi sette anni, nonostante il fatto che un pugno di schede fossero già state approntate dal sottoscritto e messe in archivio. Con il passare del tempo, non eravamo tornati sull’idea e ciascuno aveva poi preso una propria strada individuale, pur continuando a collaborare assieme per altri tre libri per conto della casa editrice Odoya. Il progetto sembrava arenato, fino a che una sera, durante una presentazione a Milano della mia “Guida al cinema western”, scritta assieme a Stefano Di Marino per Odoya, non conobbi Roberto Azzara, venuto a seguire l’evento, che fu fondamentale a rimettere il progetto in campo, come vi dirà lui”.

Roberto Azzara: “Mondi paralleli” è uno di quei libri che, dopo averlo acquistato, divorai in un attimo e di cui comprai la anche la seconda edizione. Già da allora iniziai ad aggiornare i titoli che si sarebbero potuti aggiungere in una eventuale terza edizione. Pensai inoltre che mi sarebbe piaciuto leggere un libro del genere riferito all’horror e mai avrei pensato che alla fine a quel libro avrei collaborato io stesso. Per puro divertimento personale, avevo stilato una lista di film tratti da opere letterarie di narrativa del terrore. Quando finalmente conobbi Michele Tetro, alla presentazione di cui scrive sopra, ed ebbi modo di informarmi se un libro del genere era in programma, sapendo che mi dilettavo nella scrittura e che stavo per pubblicare il mio primo saggio, “La fantascienza cinematografica. La seconda età dell’oro” (2018), lui mi chiese se fossi interessato a entrare nel gruppo di redattori di schede per quello che allora veniva chiamato “Mondi paralleli horror”, un progetto i cui estremi erano ancora tutti da stabilire. Dopo che gli sottoposi un paio di schede di prova (riguardanti “Book of Blood” e “Spiral”, se non ricordo male) Michele mi arruolò ufficialmente e m’inviò il lavoro fin lì svolto, una manciata di schede cui cominciai ad aggiungerne altre, pescando un po’ a caso dalla mia lista. Dovranno però trascorrere ancora tre anni prima che Michele potesse tornare a dedicarsi completamente a questo libro, impegnato nella realizzazione di altri tre saggi per Odoya. Un tempo che io avevo impegnato a produrre schede su schede, ignorando i consigli di Michele, che mi invitava a rallentare, in quanto tutto sarebbe potuto risolversi in un niente di fatto. Quando finalmente giunse il via libera per la realizzazione del libro, nel 2019, io avevo redatto quasi un terzo delle schede presenti nella lista: mi ritrovai nella lieta condizione di passare da collaboratore a co-autore dell’opera.

Possiamo parlare del criterio che avete tenuto presente per includere o escludere i titoli che transitano dalla pagina scritta allo schermo?

M.T.: Mai come oggi è evidente la più grande confusione sul significato e la natura da dare ai generi narrativi (sia letterari che cinematografici), esasperata dalla nascita dei social network, in cui ognuno dice la sua nella convinzione di essere, a priori, rigorosamente nel giusto. Anche tenuto conto di una “naturale” fusione di generi, oggi molto di moda, o di un’evoluzione degli stessi dovuta all’introduzione di nuove categorie, fascinazioni e aspetti caratteristici non va mai dimenticata la dimensione accademica del genere, ossia “cos’è e cosa tratta in soldoni. A qualificare i generi, e su questo ci siamo trovati d’accordo io e Roberto, sono i loro temi portanti, anche solo in percentuale, più che le sensazioni che essi ingenerano nei fruitori, del tutto soggettive. La prevalenza del tema portante, senza il quale la storia non si reggerebbe, ci ha portati a essere piuttosto severi nella scelta dei titoli, cosa che potrà infastidire qualche lettore che magari potrebbe non trovare un film che si aspettava o trovarne altri che non aveva contemplato. Dando per scontato che l’elemento sovrannaturale sia conditio sine qua non per l’introduzione nel volume di determinate opere ma che l’evoluzione del genere consente di aprirsi anche ad altre tematiche, e tenuto conto dell’esistenza di un precedente volume dedicato alla fantascienza, non abbiamo appunto voluto ripetere in questa sede pellicole appartenenti specificatamente a quel genere pur se parimenti rapportabili anche a una sfera orrorifica, anche a fronte di quanto ci si potrebbe aspettare oggi dall’opinione comune. Il che ci ha fatto discutere molto al riguardo…

R. A.: Fin dall’inizio fu chiaro che sarebbe
stato difficile, se non impossibile, mantenere un principio di completezza e inserire nel testo davvero tutte, o anche solo una percentuale che ci si avvicinasse, le pellicole della lista che avevamo approntato. I criteri di inclusione ci erano abbastanza chiari e li ha esposti prima Michele, ma come scrive lui stesso, ci siamo posti il problema di doverci confrontare con il sentire comune del pubblico, cui il libro è rivolto. Per film controversi ci ponevamo l’amletico quesito (anzi morettiano, direi): “questo determinato titolo si nota di più se lo mettiamo o se non lo mettiamo affatto?” La risposta data nel libro finito spero possa rappresentare tutte le varie sfaccettature cine-letterarie del genere.

Le quasi quattrocento schede che costituiscono il volume riportano oltre alle vostre due firme quelle di altri collaboratori. In che modo avete scelto gli altri redattori e come avete attribuito loro i vari titoli?

M. T.: Nelle mie collaborazioni precedenti con i due colleghi Pizzo e Chiavini, specie in volumi d’ampio respiro che contemplassero l’utilizzo di schede, abbiamo sempre trovato gradevole utilizzare autori “ospiti”, scelti tra i nostri amici e conoscenti esperti del settore, in modo da dare una più variegata chiave di lettura basata su sensibilità e professionalità differenti. Così è stato anche questa volta. Le mie scelte sono andate agli amici e colleghi Roberto Chiavini, già co-autore di “Mondi paralleli”, Stefano Di Marino, con cui ho spesso collaborato nella stesura delle guide ai generi cinematografici pubblicate da Odoya, Corrado Artale, appassionato ed esperto del genere fantastico, tra le colonne del Tohorror di Torino, e Lucius Etruscus, saggista e “cacciatore” di libri che aveva contribuito già a compilare diverse schede sin da quando il progetto era solo nelle nostre teste. Non c’è stato uno specifico criterio di attribuzione di ruoli, semplicemente abbiamo redatto un elenco di titoli, escludendo quelli già di competenza mia o di Roberto, e lo abbiamo affidato agli amici, perché potessero compiere le loro scelte, che non si sono mai sovrapposte le une sulle altre, a quanto ricordi.

R. A.: Per quanto riguarda i collaboratori scelti da me, inizialmente avevo chiesto a conoscenti e amici se qualcuno se la sentiva di aiutarmi a redigere le schede, visto l’enorme mole di titoli nella lista. Tra questi rispose solo Samaaang Ruinees, che mi sottopose le schede di alcuni film che non avevo visto e che poi sono finite nel libro, in più mi diede spunti per altre schede poi scritte da me. Più avanti, divenne chiaro che c’era bisogno di altre persone per completare il progetto nei tempi stabiliti. In questo mi venne entusiasticamente in aiuto il mio amico Giuseppe Maresca, scrittore e curatore di antologie nonché grande appassionato di horror, e Antonella Ferraris, scrittrice anche lei e storica, conosciuta tramite Giuseppe.

Nonostante la forma sia quella del dizionario, con i titoli a rappresentare lemmi diversi, uno dei pregi del vostro lavoro è quello di andare a costituire una sorta di altra storia del cinema e della letteratura dell’orrore. In questo, la maggiore estensione di alcune schede rispetto ad altre offre il vostro punto di vista sull’importanza del titolo al di là dell’arbitrarietà del giudizio critico espresso in stellette… Possiamo parlare di questo?

M. T.: Be’… dici davvero? Non male, mi fa piacere che la lettura possa essere stata intesa così. Un giudizio critico espresso in stellette va bene per una guida TV non per un volume di questa portata. In realtà era inevitabile che alcuni film potessero, per loro importanza, avere un’estensione di analisi maggiore rispetto a quella d’altri, ma non credo sia così evidente nel testo, nel senso che anche film di minor importanza sono stati trattati alla stessa stregua di opere più rimarchevoli. Insomma, quel che c’era da dire su tutti, fossero grossi calibri o meno… dicevamo.

R. A.: Esprimere giudizi critici o personali sui film che trattavamo non era la nostra priorità mentre redigevamo le schede, anche se è inevitabile che in qualche modo alla fine traspaiano. Per la lunghezza delle schede cercavamo di attenerci a un numero di battute massimo prestabilito, visto l’alto numero di titoli, permettendoci di sforare qualora il film lo meritasse per qualità, importanza e influenza. Quindi sì, è possibile che la maggior estensione di una rispetto a un’altra rispecchi un giudizio sul film in questione ma non sempre: come dice Michele, abbiamo cercato di dire tutto quello che c’era da dire… secondo noi.

La selezione dei quattordici macroargomenti che costituiscono i box, a volte, sembra voler colmare “lacune” che la stretta osservanza del criterio alla base del testo poteva lasciare… Come avete proceduto alla scelta di questi argomenti che sono, in larga parte, già un sunto dell’orrore tout court?

M. T.: I box sono molto meno di quanti ne avremmo potuti fare in realtà (e di quanti in effetti avevamo in mente) ma dovevamo tenere conto della mole del libro, che oltre un certo numero di battute non poteva andare. Sono stati utili per variegare l’andamento testuale, facendo da “isole” nel gran mare di schede, in cui soffermarsi magari un po’ di più. Come spieghiamo nell’introduzione, avevano anche lo scopo di citare quantomeno titoli borderline o appartenenti specificatamente a un altro genere che però fossero anche considerati emblematici nella sfera dell’horror. Pensiamo solo alle pellicole fanta-horror o ai thriller a forti tinte, di cui comunque abbiamo quantomeno dedicato una scheda ai titoli più emblematici, tipo “La cosa” o “Psycho”… abbiamo cercato di limitare al massimo la possibilità che qualche lettore potesse lamentarsi di eventuali mancanze, anche se dal nostro punto di vista giustificate, e nei box tematici si poteva ovviare alla questione.

R. A.: Oltre ai motivi esposti sopra, alcuni box sono nati dall’esigenza di citare titoli tratti da opere innumerevoli volte trasposte in film. Insomma, quante schede di trasposizioni ufficiali di uno stesso romanzo potevamo inserire? Ovviamente non tutte, sarebbe stato tedioso per chi scriveva e, probabilmente, anche per chi avrebbe letto. In quest’ottica sono nati i box dedicati a “Dracula”, “Frankenstein”, “Il dottor Jekyll”, “Il fantasma dell’Opera” e “Giro di vite”, o quelli su autori come Lovecraft o Poe. Era inoltre doveroso trattare in qualche modo argomenti che da soli avrebbero potuto riempire saggi della stessa mole di “I due volti del terrore”, come le trasposizioni da fumetti horror e le serie TV tratte da opere horror.

Possiamo anticipare qualcosa dei vostri prossimi progetti editoriali?
M. T.: Sono attualmente impegnato nella composizione di un voluminoso tomo, sempre per i tipi di Odoya, dedicato alla percezione umana dello spazio cosmico, attraverso storia, arte, filosofia, narrativa, illustrazione, cinema e televisione. Credo sia la cosa più impegnativa che mi sia mai capitato di affrontare. Ho escluso da un bel po’ di tempo ogni parametro terrestre per sondare le distese cosmiche… dove l’unico risultato possibile è quello di perdersi. Chi risponde a questa intervista è un ologramma, il vero Tetro è oltre i Bastioni di Orione, in tuta spaziale, con la mente piena di stelle.

R. A.: Sto attualmente rincorrendo la chiusura di un progetto di cui non posso anticipare molto, solo che è in qualche modo legato all’argomento di “I due volti del terrore”, quindi all’horror e a un autore che ha anche lavorato nel cinema. Spero veda la luce entro la fine dell’anno. Ottobre mi vedrà inoltre esordire nella narrativa con la pubblicazione di due racconti tra horror e fantascienza in altrettante raccolte, una curata da Giovanni Mongini (in cui è presente anche Michele) e l’altra da Giuseppe Maresca e Luca Raimondi (in compagnia, invece, di uno dei collaboratori di “I due volti del terrore”, Corrado Artale).