“Non esistono città felici e città infelici, ma città che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri, e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città, o ne sono cancellati” .

Sulla scia delle parole di Italo Calvino in “Le Città invisibili”, il siciliano Edoardo Morabito, dopo quattro anni di lavorazione insieme a Irma Vecchio, ricostruisce la sua città invisibile e i suoi fantasmi portando sullo schermo una poesia angusta, tanto dolce quanto tetra e malinconica, in cui i ricordi ricreano i luoghi e chi li abita, mentre il tempo corrode e lascia il sapore di una vita dai mille volti. I Fantasmi di San Berillo, presentato in anteprima internazionale al 31° Torino Film Festival, dove è stato premiato come miglior film nella sezione Italiana.Doc, e vincitore della Menzione Speciale Premio Solinas 2010, non è solo una pellicola nostalgica. Ma la ripresa diretta di uno strappo alla memoria, storica e individuale, della sofferenza endemica degli abitanti di San Berillo, un fatiscente quartiere popolare di Catania raso al suolo nel 1958 con la legge Merlin e ridotto ad un pezzettino di macerie, che ora resiste ed urla il suo passato, riaffacciandosi dalle finestre delle ultime prostitute rifugiatesi lì.

La resistenza al tempo di un albero di fico, l’odore delle cimici e quello intenso e acido di piscio nella via, tutto può rievocare il passato fatto di gesti, di curiosità, di intenzioni, immagini di un via vai di persone che vivevano o frequentavano quegli spazi di fredde passioni, quell’ambiente strano e incomprensibile agli occhi dei più piccoli, che in quelle vie, disorientati, ammucchiavano la loro infanzia nella povertà e nell’indifferenza del resto della città. La melodica voce narrante di Donatella Finocchiaro, che interpreta il fantasma della scrittrice Goliarda Sapienza, dona un senso fiabesco al racconto, una favola che prende forma dalla lava del vulcano, pietrificata in visi di mostri e capitelli, in strade buie e piene di disperazione, nelle bocche carnose di avide perversioni delle mutanti notti del quartiere.

Magre le speranze di chi, da quei non luoghi, non è riuscito ad andar via, o probabilmente, non se n’è mai voluto andare, perché, come scrive Marco Lodoli nel suo romanzo “Italia”, “Ogni casa ha una musica, sta nelle pareti che trattengono le parole, il tono delle voci, le grida, il silenzio, i fiati”.

Patrizia Miglietta