La trasposizione cinematografica di I fratelli Karamavoz di Fëdor Dostoevskij, realizzata dal regista Petr Zelenka, è un interessante esperimento filmico: un crogiolo di lingue, idiomi e linguaggi artistici che ruotano attorno ad una vera tragedia. La morte, infatti, del figlio di un manovale, caduto da una passarella mentre lavorava, è il vero e avvertito dramma scenico, che rovescia e reinterpreta quello letterario. Ambientato in diverse città dell’Europa dell’Est, il film – in sala, in lingua originale, dal 27 marzo tramite Distribuzione Indipendente – ha per protagonisti alcuni tra i più importanti artisti teatrali di Praga, Varsavia e Cracovia, accompagnati da una traduttrice, in una vecchia acciaieria abbandonata per provare la rappresentazione di I fratelli Karamazov.

E proprio l’acciaieria diventa il luogo della catarsi delle coscienze dal dramma: non di quello letterario, ma di quello reale accaduto al figlio di un manovale. Così il volto disperato e sofferente del padre si oppone e si alterna al dramma scenico: tocca e sconvolge gli attori più della stessa rappresentazione. Il parricidio, compiuto da Dmitrij, e la famiglia, descritta da Dostoevskij, sono dunque considerati ed interpretati in toni burleschi e comici, mentre il vero dramma, la morte di un giovane operaio, unisce tutti i protagonisti, che, come in una famiglia, si raccolgono nel dolore.

E sebbene la struttura del racconto cinematografico segua, in generale, quella letteraria con l’introduzione e descrizione iniziali dei personaggi, la rappresentazione del dramma e il processo, diversi sono invece i valori sui cui poggia il conflitto. A quello letterario tra fede e libero arbitrio si sostituisce quello cinematografico tra linguaggi e lingue raggiungendo il suo acume nei valori attribuiti al dramma familiare rispetto a quello scenico. Il regista con questa pellicola, che ha già ottenuto un Premio FIPRESCI e una Menzione Speciale alla regia al 43° Karlovy Vary International Film, rilegge così, in modo del tutto originale, l’opera letteraria e lo stesso dramma.

Alessandra Alfonsi