L’angolo di Michele Anselmi

“E se poi la poesia diventa pappa?”. La battuta, che racchiude un dilemma morale ed estetico, non solo sentimentale, di sicuro non è stata scritta a caso da Valerio Mieli. Una decade dopo “Dieci inverni”, il regista romano, classe 1978, si riaffaccia con “Ricordi?”. Un film spiazzante e complesso, pure controcorrente, che maneggia una materia rischiosa; e per fortuna, vedendolo, la poesia non diventa pappa. Nelle sale da giovedì 21 marzo, targato Bim, produce Angelo Barbagallo, dopo l’anteprima alle veneziane Giornate degli autori.
Se in “Dieci inverni” la cronaca di un amore era affidata a dieci episodi isolati l’uno dall’altro, di ambientazione invernale, eletti a passaggi cruciali, simbolici, in “Ricordi?” il racconto si sfalda e si immerge in un continuo gioco della memoria, affollando sensazioni e percezioni, lasciando insomma che la domanda evocata dal titolo si trasformi in condizione esistenziale, in processo cognitivo.
Il ritorno sull’isola, forse Ponza, nella quale anni prima si conobbero e si amarono sotto la luna, spingono Lui e Lei e fare i conti con ciò che resta del loro amore. Un amore intenso e coeso, orgogliosamente rivendicato, anche se non paritario. Lui, Luca Marinelli, è un latinista sprofondato in un passato familiare piccolo-borghese che lo perseguita, sfrangiato e infelice, come se ogni atto presente fosse determinato da quei ricordi brucianti; lei, Linda Caridi, è solare e allegra, figlia di uno scultore alla moda, anche molto bella, e porta con sé una sventata voglia di “non” ricordare. “Non vorrei intristirti” fa l’uomo nell’attaccare discorso durante la festa isolana; lei è attratta dallo spirito inquieto e fosco, vanno pure a vivere insieme nella casa di paese in cui lui crebbe prima di essere spedito in un collegio, ma quanto può durare?
“Ricordi?”, avrete capito, non è un film lineare: intreccia eventi reali e memorie frammentarie, sovrappone e sdoppia le immagini, in modo da accompagnare lo spettatore dentro un territorio fatto di fragilità umane, di schermaglie amorose, di traumi infantili. “Il ricordo mente, rende belle le cose che non erano belle” sentiamo dire a un certo punto, e intanto, nello scorrere del tempo, qualcosa sta cambiando nella consapevolezza dei due amanti. Lui, così pessimista sulla sostanza dei sentimenti, sembra finalmente libero dal tirannico passato che lo angustia; lei, così vitale e disponibile ai cambiamenti, sembra indurirsi, o forse sta solo maturando, scoprendo le insidie della nostalgia.
Questo, più o meno, è lo sfondo psicologico della storia, ma poi lo stile fa la differenza rispetto a tanto cinema italiano che si vede in giro. Può darsi che in “Ricordi?” echeggino suggestioni cinefile di nobile conio, da Resnais a Fellini, da Tarkovski a Malick, e tuttavia a me pare che Mieli abbia elaborato un linguaggio personale, per nulla frescone, nel quale armonizzare scelte fotografiche, cromatismi elaborati, partiture classiche, immagini scomposte, sospensioni emotive. Non importa tanto ciò che si dicono i due amanti, talvolta scappa a Mieli qualche banalità poetizzante, semmai è il sentimento di fondo che anima la danza dei rimpianti e la fragranza dei profumi a fare del film un esperimento riuscito, pure toccante.
Se Luca Marinelli, sempre un po’ mesto e incasinato, restituisce l’umore del malmostoso amante, la sorpresa viene da Linda Caridi, che disciplina l’imperiosa venustà di cui è dotata a un palpito di fresca irresolutezza femminile.

Michele Anselmi