L’angolo di Michele Anselmi
Si chiama “Il buco in testa”, e naturalmente il titolo custodisce un doppio significato: letterale e metaforico. Perché si parla dei fetidi, atroci, “anni di piombo”, rimpianti forse solo da chi, giovane allora, non riesce proprio a smantellare il fanatismo ideologico di quella stagione, a osservarlo con occhi obiettivi, riconoscendo il danno che fu inferto alla società italiana. Passa al festival di Torino, quest’anno in edizione on line, un po’ “fantasma”, il nuovo film di Antonio Capuano: sì il regista napoletano, oggi ottantenne, che si fece conoscere nel lontano 1991 con “Vito e gli altri”. Trattasi, come avverte una didascalia sui titoli di testa, di “libera interpretazione di fatti realmente accaduti”.
Un colpo di pistola colpì alla testa e uccise il poliziotto Antonio Custra, a Milano, il 14 maggio del 1977, durante una manifestazione indetta dall’Autonomia operaia, per mano dell’estremista di sinistra Mario Ferrandi. La moglie della vittima era incinta di sette mesi; poco dopo sarebbe nata una figlia, Antonia, che mai avrebbe conosciuto il padre.
Il film, scritto dallo stesso Capuano e prodotto da Dario Formisano insieme a Rai Cinema, cambia nomi e cognomi, ma reinventa l’incontro che avvenne davvero nel 2007 tra quella figlia e l’assassino scarcerato da poco, insomma l’uomo che le aveva tolto la possibilità di vivere un’infanzia normale, serena, piena. Lei, interpretata dalla notevole Teresa Saponangelo, si chiama Maria Serra nella finzione; lui, incarnato da un meditabondo Tommaso Ragno, si chiama Guido Mandelli.
Ma non pensate a “La seconda volta” di Mimmo Calopresti, perché Capuano spinge il suo film da tutt’altra parte, ambientandolo tra Torre del Greco e Milano, con una predilezione per la prima. Sembrerebbe quasi, infatti, che l’incontro con l’omicida, teoricamente centrale e cruciale ai fini del crescendo drammatico, sia risolto in modi abbastanza sbrigativi, benché senza reticenze; come se il vero cuore del film fosse altrove: cioè nella descrizione accurata di questa giovane donna inaridita, che dice di sé “Io sono una pianta, ma non faccio né fiori né foglie”, in buona misura anaffettiva benché desiderosa di piacere, di essere corteggiata, a volte bella e sensuale, a volte spenta e sciupata, cresciuta nel culto di quel padre mai visto, tra le rose marcite comprate dalla madre taciturna e depressa.
Introdotto da una piacevole versione slide di un brano di Philip Glass, “Il buco il testa” cita vai sapere perché gli scrittori Peppe Lanzetta e Erri De Luca, propone la solita cantatina in auto al suono di “Viva la mamma” di Edoardo Bennato, e certo usa gli aspri paesaggi ventosi della città rivierasca per parlare di legalità e camorra, di volontà e destino, di maternità e solitudine. Il tutto risulta suggestivo ma a tratti parecchio squilibrato (perché solo all’inizio la protagonista si rivolge direttamente alla cinepresa?); e francamente viene da chiedersi quando arriverà il confronto milanese risolutore, con tanto di pistola sotto il tavolo.
Qui, come si diceva, il film azzecca il tono da “duello” psicologico, con Maria che incalza Guido, cercando di capire chi ha di fronte, soprattutto perché quel sessantenne un po’ dimesso, stonato e incanutito, sia pure con elegante moglie in perle e twin-set, sparò al padre poliziotto e proletario.
“Fu un’esaltazione collettiva, qualcuno disse che era come sparare nel buio mentre la luce ti acceca” scandisce il borghese. Che non appare poi così pentito, solo sconfitto. Aggiunge infatti alla donna attonita: “Ti dovrei spiegare il clima di quegli anni, vivere in questa città era come stare nell’epicentro di un disastro, di una guerra”. Parla senza vergogna di “violenza proletaria”, farneticando come tanti brigatisti che passano in tv, salvo poi, in un barlume di resipiscenza, ammettere: “Sì, abbiamo sparato. Le conseguenze sono state tragiche. Toppo tardi abbiamo capito che la morte di un uomo non può essere un punto di partenza per un mondo migliore”. Meno male.
PS. Anticipo una possibile domanda: dove vederlo? Non si sa, per ora. Si aspetta la riapertura dei cinema, ad occhio non prossima, per decidere le sorti del film. Possibile lo sfruttamento “on demand”.
Michele Anselmi