La giovane Sheeta è tenuta prigioniera dal cinico colonnello Muska a bordo di un’aeronave diretta verso la fortezza Tedis. Durante il volo, in una notte rischiarata dalla luna, l’aeronave viene attaccata da una banda di pirati guidata dall’intrepida Dola, che vuole impossessarsi della pietra che la ragazzina porta al collo. Questa ha un valore inestimabile: permette di vincere la forza di gravità e localizzare la leggendaria isola fluttuante di Laputa, dove – si racconta – sono custoditi immensi tesori e un potere inimmaginabile. Sheeta riesce però a fuggire, finendo tra le braccia di un giovane minatore di nome Pazu che, da quel momento, decide di proteggerla unendosi a lei nella ricerca dell’isola celeste e dei suoi misteri.
In questo lungometraggio d’animazione del 1986 (che Lucky Red meritoriamente porta dal 25 aprile nelle nostre sale cinematografiche) si intrecciano, tra atmosfere di pirati e isole del tesoro, Jonathan Swift con i suoi I viaggi di Gulliver e il visionario Jules Verne. È il maestro giapponese Hayao Miyazaki a creare la miscela avventurosa in cui i personaggi sono inarrestabili e le corse a perdifiato, le scorribande si susseguono tra cielo e terra, le scene d’azione scoppiano a ripetizione con esplosioni e inaspettati colpi di scena.
Il castello nel cielo amalgama divertimento allo stato puro e personaggi ironici (la coraggiosa Dola e l’ingegnere “baffone”). Basta lasciarsi avvolgere da oceani di nuvole e tuffarci in un vero e proprio mondo tutto da esplorare, tra i magnifici fondali creati sullo schermo dalla perizia di disegnatori e illustratori come Hisamura Katsu (autore anche di Porco Rosso).
Talento e voglia di sperimentare uniti alla passione per il volo sono disseminati in tutte le opere di Miyakaki. Innamorato sin dall’infanzia dei velivoli aerei, il maestro immagina stravaganti mezzi di locomozione, celesti e terrestri (ma anche acquatici, come in Ponyo sulla scogliera), coinvolgendo in spericolate situazioni i suoi personaggi. I titoli di testa mostrano macchine volanti disegnate dal regista e realizzate nello stile delle litografie come omaggio a un’archeologia fantastica a metà tra il futuribile e il retrò che rimanda alle incisioni che illustravano proprio i romanzi di Verne. Dirigibili, corazzate e biplani, velivoli a due posti che sbattono le ali come insetti o macchine complesse dalle zampe di gallina (realizzate poi nel 2004 per Il castello errante di Howl).
Un universo immaginario e nostalgico che vi catturerà.
Francesca Bani