Il cecchino di Michele Placido, presentato Fuori Concorso all’ultima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, è un polar: un poliziesco di stampo francese, che la triste cronaca nera di questi giorni, con l’attentato a Palazzo Chigi e il ferimento grave di due carabinieri, inquadra, per il riferimento al tema della distruzione dei rapporti umani, della decadenza della civiltà occidentale e, più in generale, alla tragedia umana, come una pellicola di stampo italiano.
I labili confini tra bene e male, tra carnefici e vittime, tra complessità e duplicità dell’animo umano, tra puri e corrotti sono i canoni e le cornici letterarie e teatrali che hanno ispirato il regista nella realizzazione dell’opera, dove proprio la splendida fotografia, curata da Arnaldo Catinari, dai colori opachi e poco saturi tende a farne, a tutti gli effetti, un polar
Placido lo ha invece considerato come il “suo Romanzo Criminale francese”, ma in questa sua nuova pellicola ai personaggi malavitosi e improvvisati della banda della Magliana si sostituiscono criminali ben organizzati ed attrezzati, quasi del tutto scevri delle debolezze dei cugini romani e sicuramente meno cruenti e violenti. Infatti, i ritmi incalzanti, se pur consoni al genere, tendono a scemare nei momenti di accelerazione finendo per soffocare le scene di azione e stemperando così la tensione.
Secondo un’analisi d Todorov, se le pellicole di Hitchcock sono emblemi del genere poliziesco per il rispetto delle sue norme, quello di Placido, proprio per l’abbellimento di aspetti letterari e teatrali, mutuati dalle opere di Pirandello e Shakespeare, sarebbe un romanzo letterario. In realtà è più semplicemente, per l’analisi introspettiva dei personaggi – come il Capitano Mattei, interpretato da Daniel Auteuil, e il criminale Vincent Kaminski, interpretato da Mattieu Kassovitz – un polar. Ma di stampo italiano.
Alessandra Alfonsi