L’angolo di Michele Anselmi 

Il titolo originale, assai evocativo, viene dal un vecchio blues di Huddie Leadbetter, detto “Leadbelly” (1885-1949), e non sorprende che sia stato scelto proprio lui, essendo un artista nero, piuttosto ribelle, pure finito in carcere per il suo caratterino.
Il regista marchigiano/americano Roberto Minervini torna con “What You Gonna Do When The World Is On Fire?” al tema che più gli preme, ripercorrendo in chiave diversa le strade del precedente “Louisiana (The Other Side)”. Del resto siamo di nuovo in Louisiana, con una scappata a Jackson, nel Mississippi, e non si vede una faccia bianca: Minervini si immerge in una variegata comunità afroamericana e native-american per estrarne alcuni personaggi, che in realtà sono persone che interpretano se stesse. Insomma una sorta di ricerca etno-antropologica appena drammatizzata, nel solco di cineasti come Robert Flaherty o Jean Rouch.
Nelle sale dal 9 maggio col titolo “Che fare quando il mondo è in fiamme?”, il film, passato in concorso a Venezia 2018, è infatti un documentario, sia pure atipico, diciamo “creativo”, dove tutto è autentico, vero, ma per alcuni versi “recitato”. Il bianco e nero, ovviamente una scelta estetica che drammatizza, fotografa una situazione razziale che uno dei narratori sintetizza così: “È duro essere nero dove vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”.
L’omicidio barbaro di un giovane nero, che fu impiccato, bruciato e decapitato secondo le apparenti “modalità” del Ku Klux Klan, fa da tragico innesco a un film corale che offre vari punti di vista, partendo dai fatti tragici accaduti, appunto, nell’estate del 2017. C’è Judy, cantante ed ex tossica ora “clean”, che prova ad aprire un bar nel suo quartiere, per vivere onestamente e offrire ai musicisti locali un posto nel quale suonare. Ci sono Ronaldo e Titus, 14 anni il primo e 9 il secondo, due fratelli tirati su dalla madre Ashley, onesta e coraggiosa, nell’assenza di riferimenti paterni (l’uomo è in carcere). Ci sono Chief Kevin e la tribù delle Frecce ardenti, che animano le suggestive parate del Mardi Gras senza rinunciare a iniziative militanti, dal tasso fortemente simbolico, come le biciclette illuminate, per ribadire la propria identità contro un processo costante di “gentrificazione” della città.
Ci sono infine le Pantere Nere, anzi “The New Black Panther Party per Self Defense”, che aggiornano le antiche parole d’ordine rivoluzionarie alle nuove emergenze sociali, proponendosi come una diga, anche armata se necessario, al potere poliziesco e bianco.
Spiega Minervini nelle note di regia: “La mia speranza è che il film susciti un dibattito necessario sulle attuali condizioni dei neri americani che, oggi più che mai, assistono all’intensificarsi di politiche discriminatorie e crimini motivati dall’odio”.
Il film, distribuito audacemente da Cineteca di Bologna e Valmyn, cuce, senza sovrapporle, le varie storie, lasciando che a poco a poco emerga lo spirito di fondo di una condizione umana che certo non indulge all’ottimismo: “Ci hanno liberato ma siamo ancora fottuti schiavi” come grida Judy in un momento di sconforto, quando abbraccia una madre strafatta di crack rivelandole le turpitudini subite da ragazza.
“Che fare quando il mondo è in fiamme?” è un film severo, non accomodante, neanche troppo retorico nel raccontare “l’altra America”; però, a mio parere, Minervini si fida forse troppo di quelle belle facce e di quelle voci prese dalla realtà, magari prendendo un po’ troppo sul serio, per non urtarne la sensibilità dopo aver conquistato la loro fiducia, gli slogan, gli atti e l’opera di proselitismo delle “nuove” Pantere Nere.

Michele Anselmi