L’angolo di Michele Anselmi 

Neanche un applauso, anzi un desolato silenzio, alla fine della proiezione stampa di “Titane”, il controverso film di Julia Ducournau che domani, martedì 21 settembre, apre le danze al rinato Cinema Troisi di Trastevere. Significherà qualcosa? Premiato a Cannes con la Palma d’oro, nella sorpresa di molti osservatori, “Titane” è distribuito in Italia da I Wonder Pictures, e naturalmente si spiega bene l’alleanza tra l’etichetta specializzata in proposte d’autore e l’Associazione Piccolo America, cioè tra Andrea Romeo e Valerio Carocci: proporre un titolo di una certa risonanza cinefila/festivaliera per inaugurare un cinema che riapre dopo otto anni di chiusura (però dal 30 settembre ci sarà anche il nuovo 007 “No Time to Die”, a riequilibrare un po’ l’offerta in una chiave pop).
Per l’occasione sono volati a Roma la regista francese e il coprotagonista Vincent Lindon; e se per la prima “una sala che riapre è sempre una festa”, per il secondo il rilancio del cinema Troisi sarebbe addirittura “un atto politico”, nel senso di un segnale contro i film “seriali” consumati sulle piattaforme o su Internet.
Di sicuro “Titane” non lascia indifferenti, anche se non si direbbe che sia particolarmente coinvolgente; tale, per citare ancora Lindon, da obbligarti “a stare per un’ora e mezza col cellulare spento” (in realtà dura 108 minuti).
Chi ha letto le corrispondenze da Cannes 2021 forse ricorderà. Siamo nel sud-est della Francia. Dove Alexia, una bella e indocile ragazza con una piastra di titanio nel cranio in seguito a un incidente d’auto avuto da bambina, campa ballando sensualmente e mimando atti lascivi sopra i cofani delle vetture esposte ai saloni. S’intende che la “spogliarellista”, forse lesbica, molto piace agli uomini, ma lei sa come difendersi da quelli molesti: usando uno spillone appuntito lungo 20 cm che tiene tra i capelli.
Una sera, dopo aver parecchio esagerato con un maschio aggressivo, Alexia torna a farsi la doccia e poi, nuda, si fa possedere, letteralmente, da una Cadillac “customizzata”. Dopo l’amplesso si ritrova incinta. Possibile? Bisogna crederci, e del resto lei col metallo ci convive.
È solo l’inizio di una cruenta avventura che la porterà a fingersi, grazie al naso rotto e al pancione compresso da bende, il figlio scomparso di un roccioso vigile del fuoco che molto si “dopa” e non ci sta tanto con la testa.
Echi del cinema avanguardistico di Leos Carax e Bertrand Bonello (quest’ultimo appare anche come attore nel ruolo del padre naturale) forse risuonano in questo film programmaticamente sgradevole, dove nulla viene risparmiato allo spettatore sul versante della fisiologia disturbante. A suo modo, Julia Ducournau è coerente: non blandisce, non addolcisce, insomma picchia duro, anche se sfugge – sfugge a me – il senso del suo racconto, si direbbe trapunto di riferimenti a un certo maschilismo francese, alla conquista dolorosa della maternità, al rapporto tra macchine e umani nella società odierna.
Agathe Rousselle è Alexia: insieme “hot” e respingente, fragile e balorda, insomma una moderna eroina postmoderna animata da una rabbia lucida che fa di lei una sorta di enigma. Mentre Vincent Lindon, qui in un ruolo “alla Harvey Keitel, lo preferisco in “Un autre monde” di Stéphane Brizé appena passato alla Mostra di Venezia.
Occhio alla canzone che torna due volte nel film, nell’incipit e nell’epilogo, in due diversi arrangiamenti: trattasi di “Wayfaring Stranger”, un toccante gospel della tradizione folk americana, il cui primo verso recita: “I’m just a poor wayfaring stranger” / “Sono solo un povero straniero viandante”. Ma risuona anche la “Passione secondo Matteo” di Bach, per dare solennità sacra al tutto.
PS. Chissà che cosa penserà Nanni Moretti. Da giovedì il suo Nuovo Sacher, distante appena cinquanta metri, ospiterà “Tre piani”, il film battuto proprio a Cannes da “Titane”.

Michele Anselmi