L’angolo di Michele Anselmi | Pubblicato su il “Misfatto” (dal “fatto Quotidiano”)
Il presidente della Repubblica si intende di cinema. A lungo responsabile culturale del Pci, Giorgio Napolitano ricorda volentieri, ricevendo al Quirinale i candidati dei David di Donatello o dei Premi De Sica, «un’antica, costante e forse non del tutto sprovveduta attenzione per il cinema». Per la serie: amici miei, qui al Colle c’è uno che vi capisce e vi difende. Anche per questo l’ex ministro Sandro Bondi se la prese tanto, al punto da spedire una patetica lettera al “Foglio” nella quale dava degli “accattoni” a tutti, quella volta che sentì su di sé, al Quirinale, una brezza di gelida ostilità. E ti credo: pretendeva perfino di mettere becco sulla formazione delle giurie veneziane!
Però, forse, la telefonata a Marco Bellocchio per comunicargli di aver apprezzato “Bella addormentata”, dopo il mancato premio alla Mostra, il presidente della Repubblica poteva risparmiarsela. Benché nel film venga citato con simpatia. Al massimo doveva restare un fatto privato, invece l’assessore milanese Stefano Boeri ha avuto l’infelice idea di dirlo in un dibattito alla presenza dello stesso Bellocchio. Non si fa.
Intendiamoci: che un presidente della Repubblica vada al cinema o si faccia proiettare dei film, è buon segno. Scalfaro, noto censore democristiano negli anni Cinquanta, sembrava un alieno in materia, al punto che un regista birbante come Leone Pompucci gli strinse la mano presentandosi col nome di James Bond e l’uomo non fece un plissé. Quanto al venerabile Ciampi, qualche film lo vedeva, ma chiedeva sempre ai registi, un po’ ossessivamente, di raccontare il Risorgimento. Finché Mario Martone lo accontentò, fuori tempo massimo, con “Noi credevamo”.
Invece Napolitano si sente uno del giro. Al suo secondo anno da presidente, sempre durante uno di quegli incontri quirinalizi, rivelò di aver ritrovato una lettera «che il grande e indimenticabile Luchino Visconti mi scrisse nel febbraio del 1971 per svolgere sagge considerazioni sul modo in cui le forze dell’opposizione di allora avrebbero dovuto condursi rispetto ai problemi che lo interessavano e per esprimere un motivato giudizio di fiducia in Gian Luigi Rondi come candidato a direttore della Mostra di Venezia». Una stagione «di schematismi e furori» aggiunse. In effetti, col placet del Pci, Rondi diventò direttore della Mostra, l’anno dopo gli autori di sinistra organizzarono un “controfestival” dagli esiti un po’ buffi e nel 1973 fu costretto a dimettersi.
Michele Anselmi