L’astronauta americano John McKenzie (Michael Pitt) precipita sulla palazzina di Asphalte e, in attesa dei signori della NASA che promettono di venirlo a prelevare, dovrà interagire con Hamida, la mamma araba che lo ospita e attende che il figlio venga scarcerato; le solitudini che qui si incontrano saranno esaltate dallo straniamento linguistico, che darà occasione al regista Benchetrit e al bravo Michael Pitt di lavorare con la propria fisicità oltreché con le parole. Isabelle Huppert, altro elemento straordinario – come l’astronauta – che irrompe nell’ordinario, interpreta sostanzialmente se stessa e troverà in Charly, (interpretato dal figlio di Benchetrit, Jules) un giovane ‘regista’ improvvisato e dotato di telecamera, il mezzo attraverso il quale rivedere un proprio vecchio film (La merlettaia), preparandosi per all’audizione per il ruolo di Agrippina in Nerone.
Ultimo ma non meno importante, Sterkovitz (il magnifico Gustave Kervern), inquilino corpulento del primo piano: dopo un eccesso di volontà di risolvere il suo problema di peso finisce su una sedia a rotelle e sarà costretto ad uscire di notte per non usufruire dell’ascensore nuovo che gli è stato vietato per inadempienza alla spesa condominiale. L’uomo, dalla sua inerzia mostrata insieme ai suoi coinquilini nella glaciale e buffa scena d’apertura, finirà invece per rialzarsi come un Lazzaro, seppur goffo, trovando il coraggio di corteggiare un’infermiera di un ospedale vicino, Valeria Bruni Tedeschi. Per rendersi credibile, si fingerà fotografo come l’Eastwood di I ponti di Madison County, visto durante la sua convalescenza domestica…
Samuel Benchetrit, già regista di quattro film prima di questo, con Il condominio dei cuori infranti, adattamento cinematografico della sua trilogia autobiografica Les Chroniques de l’Asphalte narra il grigiore della periferia prendendola come metafora della condizione umana più universale che ci sia: la solitudine. Cosa c’è di meglio di un palazzo di periferia, dove normalmente si interagisce il minimo, per raccontarla? Con uno schema narrativo riconducibile ai fabliaux e sapientemente alternato fra scenette riguardanti i suoi tristi protagonisti, Benchetrit inquadra le vicende bizzarre del condominio in una banlieue apolide e spettrale (c’è anche un presunto fantasma!) e in un’insolita cornice in formato immagine 4:3, minimale e curatissima. Huppert e Bruni Tedeschi danno il loro meglio senza rubare la scena ai comprimari. Gli altri interpreti, chi più chi meno, comunicano attraverso un linguaggio totalmente diverso, basato sulla gestualità, i corpi e soprattutto sui cliché che i loro stessi personaggi incarnano. Il condominio dei cuori infranti è una piccola perla nel cinema indipendente francese, in bilico fra una dirompente comicità caustica ed un desolante esistenzialismo.
Furio Spinosi