La Mostra di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

 

Un giovane Cristo scalzo, sbeffeggiato come “profeta” e perso nella desolata pampa cilena; una bella e cinica gallerista della upper-class losangelina alle prese con l’ex marito scrittore in vena di vendetta; un pugile scalcinato oggi 77enne che, dopo aver resistito ai pugni di Muhammad Alì, ispirò il personaggio di Rocky Balboa. Giornata fitta alla 73ª Mostra del cinema, solo per restare nelle sezioni principali concorso e fuori concorso, mentre s’infittisce di portate il menù del primo fine-settimana in attesa di “The Young Pope” di Paolo Sorrentino (le prime due puntate della serie tv per Sky).

“El Cristo Ciego” di Christopher Murray, regista 31enne dal nome anglosassone ma cileno di nascita, è di sicuro il più impervio e faticoso dei tre, e bene ha fatto Barbera a piazzarlo in concorso. Perché affronta, con estremo rigore “poveristico”, la parabola di un sedicente Cristo che lascia la vita da meccanico per avventurarsi nel deserto più derelitto e insospitale, oltre che immiserito dalle compagnie minerarie. Argomento rischioso al cinema, forse tra Buñuel e Pasolini, che il cattolico Murray mette in scena in forma di meditazione-apologo sulla Fede, lasciando allo spettatore, ateo o devoto non importa, la libertà di trarre le (provvisorie) conclusioni. Certo colpisce la miseria estrema, tra baracche di latta e di cartone, polvere e malattie, nella quale si immerge, in una sorta di pellegrinaggio, il giovane Michael che da piccolo si fece trafiggere le mani da un amico per possedere una sorta di stimmate. Proprio quell’amico, perso di vista da anni e reso zoppo da un incidente, vuole ritrovare questo Cristo preso per matto o molesto dalla gente, sicuro di poter compiere un miracolo.

La forza di “El Cristo Ciego” sta nel volto andino dell’attore non professionista, Michael Silva, che dà corpo e sofferenza a questo “profeta”  saldo nella propria Fede e insieme tormentato dal dubbio di non riuscire, di non essere all’altezza, di fallire nonostante senta di avere Cristo dentro di sé.

Musica ridotta al minimo, incontri randagi, baraccopoli inospitali, una specie di Maria Maddalena, un’umanità dimenticata dallo Stato che si aggrappa a Dio per credere ancora in qualcosa. Qui Michael porta il suo strano Vangelo, colorandolo di racconti esemplari che nel film prendono forma e personaggi, fino all’incontro cruciale con l’amico infermo. Il miracolo della guarigione non riuscirà, ma un altro miracolo, forse, è alle porte. Difficile che “El Cristo ciego”esca mai in Italia, però forse non dispiacerebbe a papa Francesco.

Strada ben altrimenti spianata per “Nocturnal Animals”, distribuito dalla Universal, uno dei film più attesi della Mostra, non fosse altro perché segna il ritorno alla regia del famoso stilista texano, a sette anni da “A Single Man”, premiato proprio al Lido con una Coppa Volpi. Alla base c’è un romanzo dello scomparso Austin Wright, edito da Adelphi col titolo “Tony & Susan”, anche se Ford se lo cuce addosso trasformandolo in un racconto di vendetta articolato su tre piani, anche temporali, in un ambiguo puzzle di coincidenze e indizi, dialoghi sull’arte e atmosfere noir.

“Nocturnal Animals” prende il titolo dal romanzo che uno scrittore texano, Edward, spedisce all’ex moglie Susan, facoltosa gallerista alla moda specializzata in esposizioni “cool” (nell’incipit suggestivo c’è un ballo di ciccione nude alla Botero per un’esposizione alla Bill Viola), perché lo legga per prima. I due non si sentono da una ventina d’anni. Ma l’uomo sta per tornare in città e così lei, incuriosita dalla dedica e stanca del secondo marito che la cornifica, si mette a leggerlo. A quel punto, quasi in un gioco di specchi deformati e allusivi, la materia fosca del romanzo entra nell’esistenza insoddisfatta della donna.

nocturnal

Vi chiederete che cosa racconta il romanzo nel romanzo. Un’atroce storia di sequestro sulle strade notturne del Texas. Tre balordi fermano la Mercedes di un timido professore partito per una vacanza con moglie e figlia adolescente. Le due donne vengono stuprate e uccise, l’uomo si salva e si affida a uno sceriffo, che scopriremo malato di tumore e quindi deciso ad acciuffare a ogni costo il terzetto omicida prima di morire. Vendetta chiama vendetta, mentre Susan deve fare i conti, scorrendo quelle bozze, con fantasmi, ipocrisie e bugie della propria vita. Edward e Tony sono interpretati dallo stesso Jake Gyllenhaal, con barba e senza barba, a marcare gli anni passati; la sciccosa Susan è Amy Adams, che fa il bis al Lido dopo “Arrival”; lo sceriffo sofferente è lo straordinario Michael Shannon che si mangia tutti per bravura.

«Questa storia parla di lealtà, dedizione e amore in una cultura sempre più “usa e getta”, dove tutto, incluse le relazioni, può essere buttato via facilmente» spiega Tom Ford. Il film è insinuante, disturbante, ben recitato, smaltato dalla fotografia di Seamus McGarvey e bombardato dalla musica hitchcockiana di Abel Korzeniowski: tutto molto glamorous e feroce allo stesso tempo. Ma resta un senso di incompiutezza, quasi di frigidità, da cinema che, appunto, si guarda soprattutto allo specchio, proprio come Susan in sottofinale nel prepararsi per la cena.

bleeder

Sarà meno sofisticato, ma diverte di più “The Bleeder” del canadese Philippe Falardeau, arrivato fuori concorso. È il ritratto del vero pugile Chuck Wepner, detto “Bayonne il Sanguinolento”, un venditore di alcolici del New Jersey che sfidò per uno scherzo del destino Muhammad Alì, cadendo al tappeto a 19 secondi dalla fine del match, e a quel punto Sylvester Stallone si ispirò a lui per creare il mitico Rocky Balboa. Incarnato con baffi, parrucca e naso finto da Liev Schreiber, premiato qui al Lido, Wepner finì in carcere per spaccio di cocaina, fu ripudiato dalla moglie, infine sposò una sexy-barista interpretata da un’irriconoscibile Naomi Watts. Ascesa, caduta e redenzione, tra citazioni da “Una faccia piena di pugni” e “Kojak”, con un finto Sly che prova a far recitare il maldestro boxeur ormai fuori controllo per la droga. Tutto molto classico, da tragedia americana, ma finita benone: oggi i due stanno ancora insieme.

Michele Anselmi