L’angolo di Michele Anselmi
La verità? Con ragguardevole fatica e crescente tedio ho visto finalmente il film di cui tutti parlano, almeno nel giro dei cinematografari, per essere stato candidato 11 volte agli Oscar, s’intende pure nelle categorie che pesano, come miglior film, migliore regia e migliore attrice protagonista. Undici nomination, più di tutti gli altri concorrenti, incluso, per dire, “Gli spiriti dell’isola” di Martin McDonagh e “The Fabelmans” di Steven Spielberg.
Trattasi, avrete capito, di “Everything Everywhere All At Once”, ma adesso fa figo dire “EEAAO”, scritto e diretto da Daniel Scheinert e Daniel Kwan, conosciuti collettivamente come Daniels. Un caso di pubblico e di critica, soprattutto di pubblico, avendo il film della società indipendente A 24 già incassato oltre 105 milioni di dollari in tutto il mondo (altri ne seguiranno in queste settimane).
E l’Italia? Uscito a ottobre scorso, targato “I Wonder Pictures”, il film, una specie di Ufo tra fantascienza burlona, melodramma di famiglia e commedia d’azione, s’è fermato a 555 mila euro; ma la corsa verso l’Oscar lo sta rilanciando, sicché la società di Andrea Romeo ha deciso di farlo riuscire al cinema il prossimo 2 febbraio.
Faccio i miei auguri al ritorno di “EEAAO” sul grande schermo (in effetti non è facile ricordare il titolo in inglese per intero). Ma ho la sensazione di essere troppo vecchio per apprezzare questa folleggiante allegoria sul multiverso, ovvero, per dirla in termini di fisica teorica, quell’idea che postula l’esistenza di universi coesistenti fuori dal nostro spaziotempo, spesso denominati “dimensioni parallele”. Leggo che il termine venne coniato nel 1895 dal filosofo e psicologo americano William James, mentre il concetto fu ripresa dallo scrittore di fantascienza statunitense Murray Leinster nel 1934 e in seguito da molti altri, come Jorge Luis Borges, divenendo un classico del genere fantastico.
Ricolmo di effetti speciali prodigiose coreografie, citazioni alte e basse, cinefilia e kung-fu, ritmi adrenalinici e reincarnazioni continue, spaesamenti temporali e scosse cerebrali, il film ruota attorno a una cinquantenne cinese trapiantata in America, tal Evelyn Wang, ovvero la brava e duttile attrice Michelle Yeoh, che gestisce una lavanderia in cattive acque. Come se non bastasse, il marito Waymond vuole divorziare da lei, la figlia Joy è lesbica e sempre incazzata, il vecchio padre Gong Gong è appena arrivato da Hong-Kong e una rabbiosa impiegata delle tasse, l’irriconoscibile Jamie Lee Curtis, sta per denunciarla a causa di alcune irregolarità contabili. Ma qualcosa di incredibile sta per succedere…
Il film, lungo ben 140 minuti, è diviso in tre capitoli, l’ultimo dei quali brevissimo e forse il più interessante sul piano drammaturgico, nel senso che gli interpreti recitano e non ti fa venire il mal di testa. Credo di non essere in grado di aggiungere altro, per una questione sia di età sia di gusti. Consiglio quindi, per saperne di più, di leggere la dotta recensione di “sentieriselvaggi.it” che trovate qui.
Michele Anselmi